Per capire a pieno l’identità della new label di “abbigliamento contemporaneo di ricerca” Massimo Osti Studio, presentata a Parigi appena otto mesi fa, bisogna prima fare un salto indietro nel passato e guardare all’eredità lasciata proprio dal genio creativo e imprenditoriale di Massimo Osti, uno tra i pionieri nei segmenti dello sportswear e dello streetwear – come testimoniano i marchi C.P. Company (ora di proprietà di Tristate Holdings), di cui il brand è una ‘costola’, e Stone Island (parte dell’universo Moncler) fondati negli anni ’70 e ’80.
“Mio padre era un uomo che ha cercato di guardare sempre avanti, a cui piaceva sperimentare”, racconta infatti il figlio Lorenzo Osti, mente principale dietro il nuovo marchio nonché presidente di C.P. Company dal 2019, tra le mura dell’archivio che a Bologna raccogliere una parte del lavoro dello stilista e imprenditore, tra progetti meno noti e capi che hanno fatto la storia dell’abbigliamento di quegli anni.
“Per la nascita di questo brand siamo partiti proprio da uno dei capisaldi del suo lavoro, la sperimentazione tessile. Nonostante il confronto con una figura come mio padre non sia affatto facile – continua Osti -, in azienda abbiamo pensato: celebriamo la sua eredità guardando sempre al passato, forse dovremmo invece avere un po’ di coraggio e guardare al futuro provando a fare qualcosa di diverso”. Da questo l’idea di affiancare al nome dello stilista il termine ‘Studio’, per celebrane la visione sperimentale e le passioni, “la parte più di laboratorio”, che per Osti è cominciata in particolare tra la seconda metà degli anni ’80 fino a metà degli anni ’90, per costruire oggi un ponte tra passato e futuro. Inoltre – svela Osti – “la scelta è nata perché inizialmente mio padre non ha mai usato il suo nome, tranne che per l’etichetta ‘Ideas from Massimo Osti” dei capi di C.P. Company”.
Ad oggi il marchio, la cui prima collezione (in un progetto dove i drop, che prendono il nome di ‘chapter’, non hanno una cadenza stagionale e si caratterizzano per il tessuto con cui sono stati ideati) è stata presentata lo scorso febbraio con un evento nel calendario della Paris fashion week (anche questa scelta – racconta Osti – “nasce per uscire dalla nostra comfort zone”), si è concentrato su quello che è stato definito dall’azienda come un “anno manifesto, nel quale volevamo comunicare a 360 gradi la nostra visione”. Attualmente la creatività del brand è curata anche dal designer Robert Newman.
Nonostante sia ancora presto per parlare di risultati economici, l’etichetta, che fino ad oggi con i suoi primi cinque ‘chapter’ è stata venduta solo tramite il proprio sito (riscontrando soprattutto apprezzamento in Uk, Italia, Usa, Germania, Olanda e Giappone) ma che è già in trattativa con importanti retailer (l’obiettivo è di arrivare a dieci per il prossimo anno), punta a raccogliere 5 milioni di ricavi entro cinque anni. “Questo non è un progetto che ha l’ambizione di avere dei grandi volumi – sottolinea il manager -. Da una parte perché si appoggia sicuramente sui risultati di una realtà solita come C.P. Company, dall’altra perché, avendo ripreso il nome di mio padre, per me la cosa più importante è realizzare dei capi che siano all’altezza della sua eredità. Parallelamente c’è poi anche un obiettivo strategico aziendale di rimanere all’avanguardia nel mondo dello sportswear, dimostrando a tutti gli effetti che siamo davvero i numeri uno.”