Dopo il caso Giorgio Armani Operations, accusato di presunto sfruttamento del lavoro, e le accuse di caporalato ad Alviero Martini Spa, il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno anche per Manufacturers Dior Srl che ha come socio unico Christian Dior Italia Srl in capo alla maison francese Christian Dior (Gruppo Lvmh).
Paolo Storari è il pm che ha coordinato l’indagine di presunto caporalato insieme a Luisa Bollone, ed è stata condotta dai carabinieri del Nil di Milano (Nucleo di identità locale). La società Dior in questione è stata ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento del lavoro nell’ambito del ciclo produttivo. Nello specifico, l’accusa si focalizza sul mancato controllo della catena di fornitori, che a loro volta si sarebbero affidati a subfornitori con “lavoratori irregolari, paghe irrisorie e condizioni di lavoro lontane dalla legalità”, spiegano i pm. La rete di subfornitori sarebbero stati identificati in opifici cinesi nell’hinterland milanese, tracciando quindi uno scenario simile ai due casi precedentemente citati.
Dagli atti investigativi è emerso che gli inquirenti del Nil hanno individuato una “società ‘cartiera’ regolarmente autorizzata dal brand alla subfornitura che non provvedeva in concreto alla realizzazione dei manufatti ma rappresentava un mero serbatoio di lavoratori, i quali una volta assunti venivano impieganti mediante distacco direttamente presso la società appaltatrice lasciando di fatto gli oneri fiscali, contributivi e retributivi a carico della distaccante, così abbattendo i costi da lavoro”. Dagli atti emerge che un “modello di borsa” acquistato da Dior a un “prezzo pari a 53 euro” da opifici cinesi veniva rivenduto al “dettaglio a 2.600 euro”.
Contestate anche le condizioni di lavoro, in cui si è riscontrata addirittura la rimozione dei dispositivi di sicurezza, fondamentali per la salvaguardia del lavoratore a contatto con macchinari pesanti mossi elettricamente e potenzialmente pericolosi. Nel corso dell’indagine, iniziata lo scorso marzo, sono stati controllati quattro opifici, risultati tutti irregolari, e identificato 23 lavoratori “di cui sette tra occupati in nero e di cui due clandestini sul territorio nazionale”. Secondo i pm di Milano che hanno coordinato l’operazione, gli operai all’interno degli opifici clandestini nella filiera di Dior sarebbero stati “preparati a dichiarare, in caso di controlli, di non essere impiegati nell’azienda, adducendo le più disparate e inverosimili motivazioni circa la loro presenza all’interno dei locali della pelletteria”.
Indagati per caporalato, abusi edilizi e fatture inesistenti anche i direttori dei laboratori. Infine, sono state comminate ammende pari a 138mila euro e sanzioni amministrative pari a 68.500 euro e per le quattro aziende subappaltatrici è stata disposta la sospensione dell’attività.
Il tema dello sfruttamento e del caporalato perpetrato da importanti brand nella filiera della moda made in Italy è nel focus investigativo degli inquirenti di Milano ormai da tempo. Per questo motivo presso la Prefettura di Milano è stato attivato un tavolo di confronto con lo scopo di identificare pratiche preventive contro il caporalato accertato dalle indagini dei pm milanesi.