Pochi brand emergenti vantano un immaginario valoriale così spiccato come quello di Magliano. Fondato nel 2017 da Luca Magliano, in pochi anni il marchio ha conquistato gli addetti ai lavori che lo hanno apprezzato durante la partecipazione a Pitti Uomo nel 2018 e lo applaudono entusiasti al termine di ogni sfilata milanese durante la fashion week maschile. Dopo essersi aggiudicato l’ambito premio Lvmh Karl Lagerfeld, lo stilista bolognese si appresta a tornare alla manifestazione fiorentina come guest designer dell’edizione 105 allestendo un evento speciale mercoledì 10 gennaio. Il dna stilistico di Magliano mixa la sartorialità artigianale a un codice genderless naturale; un’estetica priva di riferimenti alle tendenze del momento ma anzi vicina agli elementi senza tempo dell’italianità. Nei giorni scorsi, in un’intervista a Vogue Us, lo stilista ha annunciato la collaborazione con due eccellenze nostrane: Kiton e Borsalino. Stagione dopo stagione il racconto per immagini di Magliano ha acquistato credibilità anche grazie agli spettacolari allestimenti che contraddistinguono i suoi fashion show. Sale da biliardo, edifici fatiscenti, camere con letti disfatti, location che rispecchiano l’autenticità di un percorso creativo sempre più riconosciuto dai buyer italiani e stranieri.
Nel 2018 proprio a Firenze ha avuto luogo la sua sfilata di debutto dal titolo ‘Guardaroba per Uomo Innamorato’ nella sezione Pitti Italics, che effetto fa tornare sei anni dopo come guest designer?
È un onore! Sono tanto affezionato a questo luogo e a tutte le persone che ci hanno permesso di partecipare nuovamente. È tornare a casa e chiudere un cerchio.
Quali sono le maggiori difficoltà che ha riscontrato agli esordi e quali sono quelle che affronta tuttora?
La vita degli ultimi cinque anni è stata l’esperienza più formativa ed esplorativa che abbia mai vissuto. Magliano nasce così, da me e da tutte quelle persone che nel tempo, pian piano, si sono avvicinate a me (o alle quali io mi sono avvicinato) per lavorare insieme, persone che erano allergiche a un altro tipo di sistema e che per quanto fossero talentuose non riuscivano a trovare il loro spazio. Questa è l’energia che si è creata intorno al brand sin dall’inizio.
Spesso la sua estetica è associata al concetto di ‘provincia’, che valore ha per lei?
Questa cosa della provincia, che per lungo tempo è stata dipinta come un luogo quasi immaginario, io l’ho presa molto alla lontana, recuperando tutti coloro che ne avevano parlato prima di me, come ad esempio Pier Vittorio Tondelli, e l’ho ricostruita pian piano. Il mio lavoro di questi anni è stato questo, ricercare la mia identità, e quello che ho trovato è stata la mia storia italiana. Non è tanto la ricerca della realtà, ma di una qualche forma di verità. Magliano, lavora sui fondamenti del guardaroba e li mescola a una specifica attitudine che è legata alla scena artistica e culturale bolognese, a un certo modo di vivere la comunità queer e alle feste in una discoteca di provincia irrimediabilmente italiana, provincia che si evolve dall’essere un non-luogo per incarnarsi in persone vere.
Le sue sfilate sono spesso permeate da una poetica metafisica, un’immersione in una dimensione molto personale. Come nasce la scelta del concept?
Noi abbiniamo oggetti alle persone in maniera catalogica: dato un certo argomento iniziamo a selezionare oggetti, dettagli e indizi che non riguardano la moda e li organizziamo in un catalogo per tipologia. Questo diventa come un abaco degli elementi che andiamo ad utilizzare ogni volta che lavoriamo.
Come sarà il concept della sfilata fiorentina?
È un momento felice, in cui vogliamo in qualche modo approfittarne per restituire qualcosa. Vorremmo quindi che fosse un momento gioioso, ma anche di riflessione.
Cosa cambierebbe del sistema moda italiano?
Preferisco dire su quello che punterei! L’artigianalità e tutti gli artigiani che il nostro Paese possiede sono un vero tesoro per l’industria. Il made in Italy è la produzione più organica e sostenibile esistente, perché le piccole realtà non sciupano niente, non buttano nulla. Continuo a coltivare queste relazioni perché quando ho iniziato Magliano non avevo tutte quelle cose che servono ad un designer per sfondare. Avevo soltanto la fiducia di questi laboratori, me l’ero guadagnata sul campo.
Un collega / una collega che stima e perché.
Mauro Simionato (Vitelli), Veronica Leoni (Quira), Satoshi Kuwata (Setchu), Jezabelle Cormio (Cormio), sono designer che stimo immensamente!
Quali sono i designer di ieri e di oggi che la influenzano maggiormente?
In cima c’è Franco Moschino perché fa riferimento alla natura intellettuale della moda e la sua ironia. Poi ho studiato il lavoro di tanti altri designer che hanno lasciato il segno nella nostra cultura, come Walter Albini e Miguel Adrover.