Poco dopo Natale, Kim Kardashian si era sfogata sui media dopo le polemiche – ancora non del tutto sopite – sullo ‘scandalo’ della campagna natalizia di Balenciaga contestata per la presenza di oggetti legati al mondo del bondage vicino ad alcuni bambini. “Sono arrabbiati se non parlo, sono arrabbiati se lo faccio” ha ammesso durante il podcast di Angie Martinez. È l’ennesima prova di quanto sia ancora difficile la gestione della comunicazione e di quanto siano diffusi gli ‘scivoloni’ mediatici che, sia nel caso di influencer sia dal punto di vista dei fashion brand, possono determinare ricadute dannose in termini di immagine e, di conseguenza, economici.
Sebbene sia difficile quantificare nel dettaglio il danno che situazioni come quella di Balenciaga di novembre (e prima ancora Dolce & Gabbana, H&M, Gucci e American Apparel per citarne alcuni), Karim De Martino, SVP Business Development Europe di Open Influence, agenzia specializzata in influencer marketing snocciola nel dossier di Pambianco Magazine dedicato proprio agli errori comunicativi, alcuni dati significativi. “Lo scivolone Balenciaga rappresenta un boomerang a livello di comunicazione anche sul fronte del rapporto con gli influencer. Non solo i rapporti a pagamento in genere diventano off limits, ma il danno si estende anche alle relazioni organiche con gli influencer. Ci vorranno mesi a dimenticare questa cosa perché situazioni analoghe distruggono il 70-80% della comunicazione e della reputazione del brand”. Lo sfogo di Kardashian ricorda il caso tutto italiano di Elisabetta Franchi e del polverone dopo le sue dichiarazioni sulle donne e la maternità. “La sua risposta – ricorda De Martino – attirò ancora più critiche. Meglio chiedere scusa e mettere via”.
Nonostante le maison della moda abbiano alle spalle robusti team comunicativi, gli errori sono all’ordine del giorno. Secondo Francesco Oggiano, autore della newsletter Digital Journalism oltre che del libro ‘SociAbility’, il nodo principale è il cambiamento dell’universo dei social, diventati ormai il principale canale di riferimento per tutto il mondo. “Prima – spiega Oggiano – la comunicazione di un brand fashion era molto ambiziosa, ma si poggiava, per così dire, su media più lenti. Con il predominio dei social si sono innescati due cambiamenti. Prima di tutto, i tempi: la commistione tra alto e basso può innescare una polemica in grado di fare il giro del mondo in appena un’ora, con la conseguenza che il brand rischia di ‘bruciarsi’ in tempi rapidissimi”. L’altro aspetto da tenere conto è legato alla penetrazione dei social. “Il pubblico è ormai ampio e globale tutti gli effetti: una dichiarazione o un’immagine presa in un contesto può essere veicolata nelle altre piattaforme social e finire sotto i riflettori di un altro tipo di pubblico, che normalmente non segue quel settore ed è quindi meno ‘preparato’.”.
Per Andrea Scotti Calderini, CEO & Co Founder di Freeda, nome di punta nel settore delle digital media company, “il caso Balenciaga ha fatto emergere una verità: si è passati dal binomio ‘brand che comunica’ a brand che ‘conversa’ con i consumatori. Quindi, è avvenuto un passaggio da comunicazione a conversazione. Nel caso di una campagna ‘tradizionale’ – spiega – i tempi sono molto dilatati perché i livelli di approvazione interna sono numerosi. Oggi i brand di moda puntano invece ad instaurare una conversazione con gli utenti. Qui i contenuti pubblicati e veicolati sono quotidiani, il che significa che ci sono maggiori possibilità che capiti l’incidente mediatico”.
L’articolo completo è disponibile sul numero di gennaio/febbraio di Pambianco Magazine.