Il termine ‘icona’ è spesso abusato, soprattutto nel mondo della moda, ma è difficile non utilizzarlo per descrivere Vivienne Westwood. La designer inglese si è spenta il 29 dicembre a 81 anni circondata dalla sua famiglia, a Clapham, nel sud di Londra. Malata da tempo, durante l’ultima edizione della fashion week parigina la sua assenza non era passata inosservata al termine della sfilata della linea Andreas Kronthaler for Vivienne Westwood.
“Vivienne – si legge in una nota diramata dall’omonima maison – ha continuato a fare le cose che amava, fino all’ultimo momento, disegnando, lavorando alla sua arte, scrivendo il suo libro e cambiando il mondo in meglio. Ha condotto una vita straordinaria. La sua innovazione e il suo impatto negli ultimi 60 anni sono stati immensi e continueranno nel futuro”.
Andreas Kronthaler, marito e partner creativo di Vivienne Westwood, ha dichiarato: “Continuerò con Vivienne nel mio cuore. Abbiamo lavorato fino alla fine e lei mi ha dato un sacco di cose con cui andare avanti. Grazie Tesoro”.
Icona della moda, del punk, dell’attivismo ambientalista. Vivienne Westwood ha scritto pagine importanti della storia del costume e non solo. Nell’autobiografia del 2014 realizzata a quattro mani con lo scrittore Ian Kelly la stilista ha ripercorso tutta la sua vita raccontando gli inizi della sua carriera quando nel 1971 aprì la sua prima boutique dopo aver conosciuto Malcolm McLaren, suo compagno nonché manager dei Sex Pistols. Il negozio di Kings Road ha cambiato spesso nome passando da ‘Too fast to live, too young to die’ fino a ‘Sex’, incarnando perfettamente l’estetica punk che la stilista ha ampiamente contribuito a costruire tra rimandi erotici e slogan provocatori.
La prima passerella londinese risale al 1981, negli anni la collezione ‘Pirates’ è stata citata spesso da importanti fashion designer come punto di riferimento imprescindibile, da John Galliano ad Alexander McQueen. Non a caso nel 2018, appena arrivato a timone di Burberry, Riccardo Tisci ha lanciato una capsule proprio in collaborazione con Vivienne Westwood.
Negli anni 80 Vivienne Westwood ha raggiunto l’apice del successo incarnando uno stile anticonformista capace di attrarre intere generazioni di giovani in tutto il mondo. Sul finire del decennio iniziarono quelli che la stessa Westwood ha definito “pagan years”, scanditi da collezioni che, traendo spunto dall’abbigliamento borghese tradizionale, rileggevano i classici blazer in tweed e i copricapi dalle fogge militari. Gli anni 90 hanno rappresentato una sferzata verso proposte più sensuali, dai famosi abiti drappeggiati, ancora oggi tra i pezzi cult presenti in ogni collezione insieme agli immancabili corsetti. Nel 1992 è stata insignita dell’Order of the British Empire (OBE) per il suo contributo alla moda, nel 2006 è stata insignita del titolo di Dame of British Empire (DBE) ricevendo il premio come miglior designer inglese dell’anno in tre occasioni diverse. Nel 1992 ha sposato Kronthaler che dagli anni Duemila ha preso le redini creative della maison permettendole di seguire in prima persona le numerose cause per l’ambiente e l’ecologia. Le passerelle parigine del brand sono utilizzate come piattaforma politica, simili a manifestazioni di attivisti intenti a inviare messaggi sull’ecosistema in pericolo e sull’impellente bisogno di salvare il pianeta.
Ben prima della svolta ecosostenibile che da alcuni anni caratterizza gran parte della comunicazione di importanti maison del lusso, a cui non sempre fa seguito un reale impegno produttivo, Vivienne Westwood ha promosso un comportamento d’acquisto inedito: “Buy less, choose well, make it last”. Il marchio ha scelto di non seguire la tempistica delle pre-collezioni limitandosi alle canoniche stagioni primavera/estate e autunno/inverno, molti dei materiali utilizzati sono riciclati o di origine organica, la linea ‘made in Kenya’ viene realizzata da popolazioni africane seguendo tecniche artigianali.
Nonostante sia a tutti gli effetti una label storica il marchio è ambito anche dalla Z Generation che lo conosce grazie all’apprezzamento di giovani star come Timothée Chalamet, Dua Lipa e Bella Hadid. Tra i momenti iconici del brand è impossibile dimenticare la caduta di Naomi Campbell durante il défilé autunno/inverno 1993-94 a causa dei maxi platform da 22 centimetri e l’abito da sposa indossato da Carrie Bradshaw (personaggio interpretato da Sarah Jessica Parker) durante il film ‘Sex & The City’ del 2008. Ancora oggi il segmento wedding rappresenta un caposaldo dell’atelier Vivienne Westwood. Nel 2007 il Palazzo Reale di Milano ha dedicato un’ampia retrospettiva alla designer che per molti anni ha presentato nella città lombarda le collezioni maschili prima di optare per il formato co-ed. La stilista è stata inoltre una precorritrice per quanto concerne i casting inclusivi in termini di taglia, razza ed età nonché una fautrice della moda no-gender. La notizia della sua scomparsa è stata subito seguita da numerosi messaggi di cordoglio via social da parte di tanti colleghi tra cui Marc Jacobs, Pierpaolo Piccioli, Alessandro Michele e Jeremy Scott.
La Vivienne Foundation, una società senza scopo di lucro, fondata da Vivienne Westwood, i suoi figli e la nipote alla fine del 2022, verrà lanciata ufficialmente il prossimo anno per onorare, proteggere e continuare l’eredità della vita, del design e dell’attivismo di Westwood.
Pochi nomi hanno saputo distinguersi stilisticamente e, allo stesso tempo, farsi promotori di campagne politiche senza compromettere la propria credibilità. La community di Vivienne Westwood include i sostenitori di Greta Thunberg e i fashionisti che allo shopping compulsivo preferiscono quello ragionato capace di durare nel tempo, proprio come raccomandava Dame Vivienne Westwood.