Da negozi a hub per l’e-commerce: nel retail post-Covid è corsa ai dark store. La tendenza, consolidata, è confermata dalle scelte di insegne come Macy’s o El Corte Inglès, ma anche di giganti del fast fashion come H&M o Zara. Benchè le accelerazioni (tecnologiche) imposte dalle fasi di stop-and-go della pandemia vadano normalizzandosi, la vendita al dettaglio continua il lavoro di integrazione tra fisico e digitale: l’imperativo è quello di smaltire le giacenze e ottimizzare l’inventory flow. I dark stores sono hub dedicati e progettati per servire i clienti dell’e-commerce, spesso chiamati anche ‘centri dotcom’: collocati in zone nevralgiche delle città, favoriscono il raggiungimento di ogni quartiere in tempi veloci. Nel biennio 2020-21, vero e proprio spartiacque nel settore retail, il calo del prezzo degli affitti dei locali commerciali e l’aumento dell’online hanno portato al boom di questi magazzini logistici, ubicati dove precedentemente erano localizzati i negozi. Inoltre, le restrizioni imposte per fermare l’avanzata del coronavirus hanno costretto i retailer di prodotti non essenziali ad abbassare le serrande, situazione che ha portato le aziende a una revisione del network di punti vendita. Tuttavia le origini del ‘fenomeno’ dark store sono precedenti allo shock pandemico: “Se guardiamo al panorama internazionale – ha spiegato a Pambianconews Valentino Caporizzi, Managing Partner di Atoms, Retex -, scopriamo che già a partire dallo scorso decennio, i dark store grocery erano diverse decine nella sola area metropolitana di Londra. Se volessimo in qualche modo generalizzare, quello che ha spinto le insegne a convertire i negozi in dark store, deriva sia dal cambiamento delle abitudini d’acquisto sia dalla scelta di puntare una parte della competizione sul tempo di consegna. Se dovessimo quindi guardare esclusivamente ai dark store, la discussione si sposta solo sul piano logistico e chi sta guidando sono il grocery e la ristorazione”.
Nel retail moda, uno degli annunci più recenti è quello dell’americana Macy’s, che ha convertito 35 punti vendita in distribution centers, pronta a gestire lo shopping della holiday season. Nel 2021 una strategia simile è stata adottata dai gruppi spagnoli El Corte Inglès e Inditex, il cui obiettivo è l’integrazione al 100% di negozi e online stockrooms in numerosi mercati, in modo tale che ogni store possa operare come hub di distribuzione, orientato al servizio clienti. Quanto a H&M, in piena pandemia il gruppo svedese aveva avviato la valutazione del numero di magazzini necessari in ciascun Paese per rifornire i propri negozi fisici e, separatamente, per le vendite online.
“Le accelerazioni portate dalla pandemia sono sotto gli occhi di tutti e si stanno parzialmente ridimensionando – ha continuato Caporizzi -. Credo fortemente che il futuro del retail sia tutto da riscrivere. Guardare solo ai dark store e all’e-commerce ci fa perdere di vista lo scenario complessivo, e pensare di competere solo sui tempi di spedizione ci renderebbe miopi. Ogni brand deve avere chiaro quali sono i valori su cui basare l’esperienza offerta ai propri clienti”. “Bisogna immaginare modelli d’interazione e di servizio diversi da quelli attuali”, aggiunge Caporizzi, spiegando che: “La progettazione del ‘punto vendita’ dovrà diventare molto più ibrida, non solo accogliendo i servizi cross canale consolidati o servizi di personalizzazione e riparazione. Se ci serve cercare qualche spunto, basta osservare la Cina che è dai tre ai cinque anni avanti rispetto all’Occidente. Ci sono dei marchi che avrebbero la forza di sperimentare, avendo fondamenta tecnologiche solide”. Una vista unica del cliente e dei suoi comportamenti cross canale, una gestione dello stock diffuso e accurato, con algoritmi che possano ottimizzare la logistica sono ovviamente necessari per affrontare il futuro.
I dark store, reti di micro-magazzini, stanno quindi diventando un vero e proprio standard per la distribuzione al dettaglio. Non mancano tuttavia interrogativi rispetto alla sostenibilità ambientale ed economica di un modello così capillare. “All’interno di un solo settore – ha concluso il Managing Partner di Atoms, Retex – le abitudini di acquisto non cambiano solo per segmenti, ma per singole categorie e sottocategorie, per area geografica, per tipo di cliente, per periodo dell’anno, per canale e così via. Questo significa che i dark store potrebbero essere utilizzati solo per specifici ‘momenti’ del business. Per questo i dati giocano un ruolo rilevante. Inutile dire che la marginalità è un tema, quindi la sostenibilità del ‘fenomeno’ è una grossa barriera all’ingresso”.
L’approfondimento sul ricorso ai dark store da parte dei brand di abbigliamento sarà disponibile sul prossimo numero di Pambianco Magazine, in uscita a gennaio 2023.