Parte sottotono il 2022 dei fashion e-tailer. Le ultime trimestrali dei gruppi di e-commerce fanno emergere qualche perplessità sulla longevità di quella che sembrava una corsa inarrestabile, iniziata con il boost del 2020 pandemico e continuata nel corso del 2021. Due anni stellari per i protagonisti dello shopping online, che ora lasciano intravedere il principio di un trend discendente, nella direzione di una ‘nuova normalità’ e conseguenza delle correnti inflazionistiche in atto, ma anche dei problemi di logistica e materie prime.
Capofila Zalando, che ha chiuso i primi tre mesi del fiscal year con una stabilizzazione del volume delle vendite (+1%), ammontate a 3,2 miliardi di euro e una leggera flessione del giro d’affari, attestatosi a 2,2 miliardi, in calo a -1,5 per cento.
Un rallentamento della crescita che il colosso di Berlino ha attribuito al confronto, prevedibilmente poco lusinghiero, con l’analogo quarter del 2021, ma anche allo scenario inflazionistico che sta erodendo il potere d’acquisto dei consumatori. La fascia media, in particolare, secondo Zalando starebbe risentendo di più dell’attuale panorama economico, meno gli acquirenti orientati all’alto di gamma.
Simile performance per il britannico Boohoo, che ha registrato un aumento del 14% nei ricavi, arrivati a quota 1,98 miliardi di sterline (circa 2,3 miliardi di euro), ma un drastico calo sul fronte della redditività. Gli utili del gruppo nel primo trimestre hanno subito una contrazione del 28%, ammontando a 125 milioni di sterline come da previsioni ma in flessione rispetto ai 173,6 milioni dell’anno precedente.
Il risultato riflette soprattutto, ha spiegato l’e-tailer, l’impennata dei costi di materie prime, logistica e trasporti, ma probabilmente anche un nuovo cambio di marcia nelle abitudini d’acquisto post-Covid.
Nel caso di Boohoo, oltretutto, contribuiscono negativamente anche i contraccolpi della Brexit, che ha messo i bastoni fra le ruote a spedizioni e consegne internazionali. A fronte di tutto ciò, il gruppo prevede un andamento sostanzialmente flat nella prima metà del fiscal year 2022-23, con aspettative di miglioramento nella seconda parte dell’anno.
Simile la parabola di Showroomprivé, che nel suo primo quarter 2022 ha registrato una contrazione del 22% del fatturato, pari a 138,9 milioni di euro, da comparare con l’eccezionale accelerazione del 51% conosciuta nello stesso periodo dello scorso anno.
A confermare il momento di stasi vissuto dai gruppi dello shopping online arriva anche la trimestrale di Mytheresa, al suo terzo quarter dell’esercizio in corso, che ha totalizzato ricavi da 4,7 milioni di euro, in crescita del 2,9% su base annua, dopo il +47% da record dello stesso periodo del 2021. Il gmv (gross merchandise value) del gruppo, di recente è approdato su Jd.com, ha registrato un incremento del 13% a 186,6 milioni di euro e il margine lordo è migliorato, dal 43,9% al 48,8%, grazie anche a maggiori vendite a prezzo pieno.
Fiducia ma anche consapevolezza della complessità del momentum da parte della società: “Mentre è impossibile prevedere il contesto macroeconomico dei prossimi mesi – ha commentato il ceo Michael Kliger – il settore del lusso ha costantemente dimostrato di essere molto resiliente. Inoltre, il passaggio all’online dello shopping di lusso sta continuando e sta guidando la crescita”.
Una congiuntura a cui concorrono la spinta inflazionistica e gli intoppi lungo la supply chain ma anche il (probabilmente fisiologico) appiattimento dell’entusiasmo verso l’online da parte dei consumatori, tornati a un regime d’acquisto di quasi normalità nonostante la rivoluzione imposta dal Covid.
Persino il gigante Amazon, re indiscusso degli acquisti in digitale, ha accusato il colpo dell’attuale scenario macroeconomico, registrando nei suoi primi tre mesi dell’anno una perdita di 3,8 miliardi di dollari, nonostante ricavi in crescita del 7% a 116,4 miliardi (comunque al di sotto delle aspettative degli analisti). Sintomatico come in Italia la Federazione dei corrieri espresso abbia denunciato, in avvio 2022, un calo degli ordini del 30% a fronte di un incremento dei costi per via del caro carburante e l’inflazione galoppante e l’Istat, intanto, abbia evidenziato una generale flessione delle vendite online nel primo trimestre.