Il 2020 potrebbe essere l’anno dello sbarco di Amazon nel lusso, ma per il numero uno mondiale dell’e-commerce generalista la ‘sfida alto di gamma’ potrebbe richiedere di più dello sviluppo di una piattaforma o di una struttura logistica ad hoc. Potrebbe addirittura profilarsi una vera prova di forza con i protagonisti della moda. Il primo ostacolo che il colosso di Jeff Bezos deve superare, al momento, è lo scetticismo dei player del settore, preoccupati da problematiche come la contraffazione o la gestione di un’immagine coerente su tutti i canali di vendita. A gelare le ambizioni di Amazon è stato Bernard Arnault, numero uno di Lvmh, che, in occasione della conference call dedicata ai risultati 2019, ha negato la possibilità di una collaborazione tra il colosso di Seattle e le maison del suo gruppo.
Secondo quanto riportato da Wwd, Amazon è al lavoro per il lancio di una piattaforma dedicata ai grandi nomi delle passerelle entro la prima metà del 2020. La formula scelta sarebbe quella delle e-concession, corrispondente digitale delle concessioni che regolano la presenza delle collezioni delle griffe nei deparment store e nei multimarca di alto livello. Con la sua nuova iniziativa, Amazon darebbe ai brand “il pieno controllo dell’aspetto dei loro store virtuali, con libertà di selezione delle proposte in vendita e delle tempistiche”, ma con il vantaggio di poter sfruttare la logistica e i servizi di customer service di Amazon. La warehouse che servirà la nuova piattaforma dovrebbe sorgere in Arizona e in cantiere ci sarebbe già una campagna marketing da 100 milioni di dollari (circa 90 milioni di euro). Se confermata, la strategia di Amazon non sarebbe una novità per il settore. Negli ultimi anni infatti, i gruppi asiatici JD.com e Alibaba hanno lanciato, rispettivamente, le destinazioni luxury Toplife e Tmall.
Fonti vicine all’operazione parlano di contatti tra i brand di Lvmh e la società di Jeff Bezos, che però sarebbe stata respinta. Questi sviluppi trovano conferma nelle dichiarazioni di Arnault, le cui riserve riguardano in primis la salute finanziaria degli e-tailer: “Stanno tutti perdendo soldi – ha spiegato il CEO di Lvmh -. Non è un buon segno. E più diventano grandi, più soldi perdono. Ci hanno proposto più di una volta di partecipare in questo tipo di attività e io ho sempre detto no”. Ad oggi anche 24S, l’e-commerce della conglomerata francese, non è profittevole, ma le perdite, ha precisato Arnault, non sono tali da danneggiare Lvmh. Attivo dal 2017 e ispirato al department store fisico del gruppo, Le Bon Marché, 24S propone prodotti di moda, di cosmetica e valigeria, sia di aziende di Lvmh sia di griffe non controllate, per circa 200 brand. Il gruppo di Arnault aveva già tentato la strada dell’e-commerce nel 2000 con il progetto eLuxury, un e-shop multimarca che è stato però chiuso a vantaggio dell’apertura di un e-commerce a sé per ciascuna griffe.
Guardando ad Amazon, Arnault ha espresso preoccupazione anche per i rischi legati alla contraffazione: “Usano il loro database per connettere i clienti ai rivenditori e si prendono una percentuale, il che li porta (ed è ciò che combatteremo su questo portale e su altri) a vendere prodotti contraffatti”.
Il magante francese non è di certo il primo a denunciare un controllo insufficiente di quanto viene venduto su Amazon. Lo scorso ottobre, l’American Apparel & Footwear Association, che rappresenta oltre mille brand, ha espresso preoccupazioni simili, rivolgendosi direttamente alla Us Trade Representative, agenzia governativa responsabile per lo sviluppo della politica commerciale. Al centro, in questo caso, la presenza di prodotti di lusso, spesso non originali, tra le proposte di rivenditori terzi. Nel febbraio precedente la stessa Amazon nel suo report annuale aveva introdotto per la prima volta nella sua storia, alla voce “fattori di rischio”, il problema dei falsi. “Potremmo non essere in grado di prevenire la vendita di prodotti falsi, piratati o rubati sul nostro store o tramite store terzi; questi beni potrebbero essere venduti in maniera illegale o non etica, infrangendo il copyright di terzi o le nostre policy”, recita il paragrafo. Perciò, se Amazon vorrà ‘dire la sua’ nel segmento lusso dovrà implementare i controlli fondamentali per mantener il senso di esclusività dei brand e tutelare le loro politiche di prezzo. Al centro delle riflessioni anche le problematiche che, pur in una fascia di posizionamento diverso dal lusso, hanno già portato alla fine della collaborazione tra Amazon e Nike. A novembre 2019, il gigante dello swoosh ha infatti annunciato la fine della partnership con Amazon Retail per avere il pieno controllo sui prodotti venduti e sulla gestione dell’immagine del brand. Nell’ambito del programma pilota, Nike ha agito come wholesaler su Amazon, evitando così che terze parti vendessero i suoi prodotti sul sito. Stando a Bloomberg, il team di Bezos starebbe già reclutando rivenditori terzi di prodotti Nike per far sì che la merce resti disponibile sul sito.
di Giulia Sciola