Si chiude l’indagine sulla vicenda blackface di Prada, e si apre l’epoca del rispetto della diversity ‘controllato’ dalla mano pubblica. O meglio, dall’occhio di una “fashion police”, come l’ha definita la stampa americana. Nei giorni scorsi, è stato siglato un accordo tra le autorità di New York e Prada che, circa un anno fa, era scivolata sullo sdrucciolevole terreno del politically correct. Il patteggiamento, siglato il 4 febbraio a conclusione dell’indagine sulla condotta razzista della maison italiana, prevede, appunto, un controllo pubblico sul livello di inclusività delle strategie di assunzione e di training interno, nonché dei prodotti e delle campagne del marchio. Cosa che, di fatto, impone per la prima volta un paletto alla libertà creativa. E, paradossalmente, proprio in nome del rispetto delle diversity.
Prada era entrata nel mirino dei social nel dicembre 2018, quando Chinyere Ezie, avvocato per i diritti civili, aveva rivolto al marchio l’infamante accusa di aver protratto la tradizione del blackface attraverso la controversa collezione di misteriose creature Pradamalia (pupazzi di colore). Nemmeno le immediate scuse pubbliche e il ritiro dei prodotti dal mercato erano bastati a evitare il coinvolgimento della Commissione per i diritti umani della città di New York, presieduta da Carmelyn P. Malalis.
Stando a quanto riportato dai media internazionali, l’accordo conferisce ai burocrati della Grande Mela un’ampia influenza sulle attività quotidiane della maison, compresi il processo creativo, le operazioni commerciali e la gestione del personale. Entrando nel dettaglio, Prada si impegna a fornire entro i prossimi 120 giorni corsi di sensibilizzazione sull’equità razziale destinati ai dirigenti milanesi, passando da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli al presidente del gruppo Carlo Mazzi, nonché a tutti i dipendenti di New York. Inoltre, è prevista la nomina di un responsabile per la diversità e l’inclusione, con grado di direttore, scelto tra una rosa di candidati proposti dalla Commissione, il quale si occuperà della “revisione dei progetti di Prada prima che vengano venduti, pubblicizzati o promossi in qualsiasi modo negli Stati Uniti”. Al suo fianco, il già esistente Diversity and Inclusion Advisory Council di Prada, presieduto dall’artista Theaster Gates e dalla regista Ava DuVernay, è destinato a continuare il proprio operato per almeno sei anni. Ai fini del monitoraggio esterno, ogni sei mesi per i prossimi due anni l’azienda dovrà poi riferire alla Commissione i propri progressi nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’accordo. In ultimo, nel febbraio 2021, si presterà a rivelare la composizione demografica di tutto il suo personale e a dare conto dei provvedimenti passati e futuri messi in atto per “aumentare il numero di persone appartenenti a classi protette sottorappresentate nell’industria della moda”.
Commentando la conclusione, definita “soddisfacente per entrambe le parti coinvolte”, un portavoce del gruppo ha affermato: “Condividiamo l’impegno della Commissione per i diritti umani della città di New York a garantire che le diverse prospettive siano rappresentate e rispettate, e siamo lieti che le nostre iniziative in materia di diversità e inclusione siano allineate con la loro visione per un settore più equo e inclusivo”.
Ma il timore è che il provvedimento politico sia un precedente per altre restrizioni creative ai danni di altri brand europei incorsi di recente in simili passi falsi, riporta la stampa Usa menzionando Gucci e Christian Dior, che potrebbero rappresentare un nuovo territorio d’intervento del governo della città.