Il colosso del lusso francese Lvmh mette un altro piede nel childrenswear. Un business che ha raggiunto una frammentazione tale da suggerire una riflessione sulle future strategie della compagine di Bernard Arnault. L’ultimo tassello è la licenza con la quale, circa un mese fa, Emilio Pucci è sbarcata nelle taglie mini siglando una licenza con l’italiana Simonetta. Con questo esordio, salgono a sei le griffe di Lvmh che sviluppano collezioni bambino: Fendi (anch’essa con Simonetta in JV), Givenchy e Marc Jacobs (entrambi in licenza con Cwf), Kenzo (con Kidiliz, ex gruppo Zannier) e Dior. Quest’ultimo risulta essere l’unico brand a produrre e gestire internamente il proprio chidrenswear. Si tratta, dunque, di un plotone piuttosto consistente di marchi che viene oggi gestito con strategie autonome, nonché con un panel di controparti eterogeneo. In prospettiva, è lecito interrogarsi se Arnault possa intraprendere la strada messa in atto da Renzo Rosso con il polo Brave Kids, che non solo gestisce in house le declinazioni bimbo dei diversi brand del gruppo come Diesel, Dsquared2 e Marni, ma ha creato una piattaforma che sviluppa anche le licenze di John Galliano e di Trussardi. Del resto, Lvmh ha già dimostrato di essere pronto a fare tesoro delle lezioni altrui. Lo ha già fatto negli occhiali, seguendo le orme del rivale Kering, nell’impostare il percorso che porta in house le licenze di tutti marchi eyewear del gruppo. Se seguisse l’esempio di Otb in ambito bambino, finirebbe per costituire una realtà con un portafoglio di marchi propri ineguagliabile. E con la possibilità di coordinarli al meglio con le strategie di gruppo. Peraltro, in un momento in cui Lvmh sta dimostrando di ricercare maggiore integrazione tra le diverse anime del proprio fashion&luxury, sia in chiave societaria, con l’integrazione di Christian Dior, sia in chiave e-business, con la creazione del super-portale 24 Sèvres dove ‘confluiranno’ tutti i marchi del mega-gruppo parigino.
David Pambianco