Da sempre è una pratica. Oggi, la ri-vendita all’estero di (gran) parte della merce sta salvando i conti dei multimarca. E per le griffe è diventato un fattore strategico.
Tanti lo fanno, nessuno ne parla. Ma il suo peso è tale che sta modificando gli equilibri (e gli assetti proprietari) della distribuzione multimarca. Il mercato del parallelo, ovvero la vendita all’ingrosso da parte dei multibrand di stock di merci griffate a retailer stranieri (soprattutto asiatici e in particolar modo cinesi), è forse il tabù per eccellenza del mondo della moda, l’argomento più spinoso su cui, in qualche modo, è stato imposto un silenzio corale. Fino a pochi anni fa, si trattava di un sistema diffuso, ma gestito in modo quasi indipendente dai singoli multibrand coinvolti. Ora, le cose sono cambiate radicalmente. E, ormai, il fenomeno sembra essere divenuto a tutti gli effetti un componente della catena del prodotto. I volumi d’affari generati dal parallelo, infatti, sono diventati talmente elevati e, soprattutto, cruciali per il business delle case di moda, che le stesse maison del lusso si sarebbero attrezzate per gestirlo nel modo più proficuo dal punto di vista dei portafogli e, prima di tutto, dell’immagine del brand. E i multimarca, di fronte a vendite sul territorio ormai ridotte al lumicino, sempre più spesso sono passati sotto il controllo di gruppi retailer cinesi, e hanno così dovuto trasformare la propria natura di negozi per diventare una sorta di dépendance non ufficiale dell’ufficio vendite delle griffe.
IL PARALLELO SALVA I CONTI
Per capire l’importanza strategica del mercato del parallelo basta partire da una considerazione. Secondo fonti interne al segmento dei multibrand, contattate da Pambianco Magazine ma che hanno chiesto di restare anonime, senza questo business non esisterebbe più alcun multimarca in Italia. E il parallelo incide ormai per oltre l’80% del giro d’affari dei multimarca interessati. D’altro canto, la geografia di questi punti vendita, spesso dislocati in piccole città e fuori dalle direttrici turistiche per eccellenza, sembra confermare la tesi di un ripensamento del business. La crisi dei consumi interni ha toccato pesantemente i tradizionali multibrand che hanno visto contrarsi sensibilmente le vendite di capi delle maison del lusso. I clienti scelgono sempre di più prodotti della fascia di prezzo inferiore. Ma per un multibrand di lusso perdere le grandi griffe rappresenterebbe un danno di immagine e non solo. Così, ecco la soluzione. Vendita di grandi quantità di prodotti di lusso a stockisti stranieri, cinesi in primis. “Mi avevano consigliato di iniziare con il tax free e, in breve tempo, sono arrivati in boutique i grossi clienti stranieri – ha raccontato a Pambianco Magazine un ex negoziante -. Pian piano i clienti si sono organizzati e il business è diventato importante”.
LA CINA SI COMPRA (ANCHE) I MULTIBRAND
Un business troppo goloso, quello del parallelo, per non interessare i grandi gruppi cinesi, decisi a entrare in prima persona nell’attività. E alcuni multibrand italiani, spesso storiche insegne di città di provincia, sono stati rilevati da realtà cinesi già proprietarie di network commerciali nel loro Paese o sono stati oggetti di investimenti da parte di fondi straneri che determinano una qualche forma di controllo. Sono diversi i nomi al centro di rumors tra gli addetti al settore ma, anche in questo caso, domina un senso di reticenza. A sostenere il proliferare di queste operazioni ci sono due elementi. Da una parte, questa modalità consente ai grossisti stranieri di fare acquisti sfruttando i prezzi dei listini europei, inferiori rispetto a quelli asiatici, cosa che permette di ritagliarsi margini più vantaggiosi. In più, offre la possibilità di acquisitare le collezioni di quei brand che ancora non hanno avviato la distribuzione in Asia. Il negozio, così, si trasforma. Da tradizionale struttura commerciale diventa una sorta di showroom da cui partono gli ordini verso l’ex Celeste Impero. E se il business aumenta, crescono anche le superfici. Secondo alcune fonti interpellate da Pambianco Magazine, infatti, gli ampliamenti o l’apertura di nuovi punti vendita della stessa catena di multibrand sarebbero attribuibili al business del mercato del parallelo. In pratica, più spazi per avere maggiori budget a disposizione per gestire questo segmento. Se da una parte nello scacchiere asiatico c’è l’Italia, dall’altra i gruppi cinesi coinvolti in questa attività starebbero sviluppando strategie anche nel loro Paese. Come? Aprendo showroom nelle principali città per rivendere i prodotti griffati anche ad altri negozi.
I BIG NON STANNO A GUARDARE
Di fronte a un business così strutturato, qual è la posizione dei gruppi del lusso? Ufficialmente, nessuna. Tuttavia, secondo quanto risulta a Pambianco Magazine, se fino ad ora le grandi maison internazionali non hanno in genere ostacolato le attività di vendita parallela (c’è da sottolineare che non si tratta di una pratica irregolare, perché vengono emesse regolari fatture), ora avrebbero invece cambiato rotta per supervisionarlo (guidarlo?) in modo diretto. Alcuni dei big del made in Italy avrebbero infatti selezionato, attraverso accordi ufficiosi, una ristretta schiera di multibrand italiani per concedere in esclusiva la gestione del parallelo in Italia. Una modalità che ha un duplice effetto. Prima di tutto, i grandi gruppi si garantiscono così tassi di crescita importanti. Inoltre, questa strategia tutela il brand che è a conoscenza delle diramazioni di vendita dei suoi prodotti legati al business del parallelo. “Il problema – spiega uno degli ex retailer interpellati da Pambianco Magazine – è che così facendo stanno distruggendo il mercato italiano. Ma, è evidente, l’Italia non interessa più alle grandi maison. Non è più strategica e quindi diventa sacrificabile perché dietro ai grandi fatturati c’è l’Asia”. L’Italia non è la sola ad aver vissuto una totale trasformazione del sistema dei multibrand in funzione del parallelo. A quanto risulta, anche all’estero questo business sta prendendo forma per bypassare la disponibilità limitata di merci sul mercato nazionale. Francia, Spagna, nord Europa e Germania potrebbero essere i prossimi.
di Milena Bello