Big come Apple e Tesla chiamano a rapporto gli executive della moda. L’obiettivo è chiaro: costruire un posizionamento e un approccio al cliente più lifestyle.
Il mercato del lusso, e soprattutto le sue scrivanie, sono in movimento. A osservare i cambi al vertice avvenuti negli ultimi mesi, appare sempre più chiaro quanto le grandi aziende della tecnologia e dell’automotive stiano guardando con occhio attento i manager delle maison del lusso. E non si limitano solo a studiarli con curiosità, ma, a partire da Tesla e Apple, arrivano a inserirli nei propri board come dei fuoriclasse in materia di lifestyle e relazione col cliente. Tesla, leader nel settore automobilistico, a giugno ha annunciato di aver nominato Ganesh Srivats come vice president delle vendite in Nord America. La cosa interessante è che il manager, prima dell’incarico, ricopriva il ruolo di senior vice president in Burberry. Srivats ha un ruolo ben preciso: forte dell’esperienza nella griffe inglese, approda in Tesla per trasformarlo in un marchio di luxury lifestyle, similarmente a Bmw, Ferrari e Porsche. Questo perché non è solo una casa automobilistica, ma, per valori e caratteristiche, è da considerarsi un brand di lusso.

La scelta del manager più adatto per attuare questa strategia è ricaduta su Burberry non a caso. La griffe, infatti, è stata una delle prime del settore del lusso a puntare sulla tecnologia e sulle sue innovazioni per coinvolgere il proprio target di riferimento. A partire dalle sfilate in live-streaming fino ad arrivare al lancio su Periscope. Il marchio, negli ultimi cinque anni, è stato protagonista di un’importante trasformazione che ha visto al centro un approccio fortemente rivolto all’online e alla tecnologia, e considerato che la clientela di Tesla è appassionata di high-tech, un executive proveniente da Burberry potrebbe essere una scelta azzeccata per il percorso che Tesla vuole intraprendere. Ma Srivats non è l’unico manager che vanta un passato nella griffe londinese a essere passato nelle fila di un’azienda che non opera nel settore della moda. Stesso percorso, anche se qualche anno prima, aveva intrapreso Angela Ahrendts. Era il 2013 quando l’allora CEO di Burberry era stata chiamata da Apple per guidare le sue mosse retail a livello globale, includendo anche quelle online. È stata la prima donna a entrare nel team dei top manager del gruppo di Cupertino e, nel 2014, ha strappato un compenso da 82,6 milioni di dollari, grazie a un consistente pacchetto di azioni, diventando la più pagata degli Stati Uniti. Ma non solo: il marchio della mela, quello stesso anno, ha arruolato Paul Deneve, allora CEO di Saint Laurent. Il manager è entrato in Apple come vice president dei progetti speciali: la sua esperienza nella moda, settore in cui il lifestyle va di pari passo con l’offerta, si dimostrava essere la scelta giusta per mettere il turbo anche a questa divisione. Deneve, prima di Saint Laurent, era stato presidente di Lanvin e Nina Ricci, oltre a essere stato managing director di Courrèges. Va detto, per completezza, che per il manager francese si tratta di un ritorno, visto che dal 1990 al 1997, infatti, aveva ricoperto ruoli nei settori del marketing e delle vendite in Apple Europa. Sempre la ‘mela’ l’anno scorso ha ‘rubato’ da Lvmh Patrick Pruniaux, allora VP per le vendite del marchio di orologeria di lusso Tag Heuer. In questo caso specifico, l’esperienza maturata da Pruniaux in sette anni in Tag Heuer poteva essere la chiave vincente per il lancio sul mercato dell’Apple Watch. Ma la casistica non si esaurisce qui. Qualche settimana fa è stato annunciato che, a sua volta, Lvmh ha arruolato tra le sue fila Ian Rogers, senior director strappato ad Apple Music. Il giovane manager entra nel gruppo di Bernard Arnault per aiutarlo a incrementare la presenza online.

L’ingresso di Rogers nel mondo del lusso va in direzione contraria agli ultimi ‘trasferimenti’: se la Ahrentds e Deneve sono stati presi dalla moda e Pruniaux dall’orologeria di lusso, Rogers ha fatto il processo inverso. Nonostante il suo incarico vada in controtendenza, è una testimonianza di quanto i settori siano in dialogo continuo e di come il tradizionale concetto di lusso, a oggi, sia da rivedere. In questo panorama, infatti, si stanno verificando due fenomeni dove l’uno è la diretta conseguenza dell’altro. Il primo, sotto gli occhi di tutti, è il passaggio dei manager provenienti dal mondo della moda e del lusso a settori differenti, come la tecnologia nel caso di Apple e l’automobilistico nel caso di Tesla. Ma è il secondo, meno lampante, a essere davvero significativo: l’innegabile cambiamento della percezione di ciò che è considerato “di lusso”. Oggi è un termine che non viene più usato solo per descrivere un accessorio, un abito o un gioiello di alta gamma, ma si riferisce anche a beni che, solo qualche anno fa, non sarebbero stati considerati tali. Basti pensare a quanti prodotti d’élite è possibile incontrare durante la giornata, a partire da quelli alimentari, dove la ricercatezza, di questi tempi, è diventata un must. Il consumatore è più attento al dettaglio in ogni ambito della sua vita e il dettaglio, da che mondo è mondo, è lusso. Il cross over che interessa i manager del lusso è, quindi, una chiara risposta alla domanda del consumatore: da lui è indirettamente partita la richiesta alle aziende, e le aziende vi stanno rispondendo approfittandone per trarne dei benefici. Le maison di lusso sono sempre state caratterizzate dall’esclusività e dalla capacità di creare un forte legame emotivo tra la propria offerta e il cliente finale. I manager provenienti da questo mondo sanno come convogliare le sue abitudini, le sue passioni e le sue richieste generando non un bene necessario, ma un desiderio. Cosa che, fino ad ora, era preclusa agli altri settori.
di Letizia Radaelli