Le edizioni di Shanghai e New York, poi gli spazi agli espositori di Giappone e Korea. La strategia paga? Dalla risposta dipendono gli stanziamenti del Governo.
Corea e Vietnam. Congo, Mozambico e Uganda. Poi Ghana ed Etiopia. Ma anche Cile, Colombia, Cuba e Perù. I nuovi mercati sui quali le aziende devono puntare sono molti di più di quelli che si sentono snocciolare dai media. Parola di Carlo Calenda, vice ministro dello Sviluppo economico. A margine della cerimonia d’apertura di Milano Unica, la fiera del tessile che si è tenuta a Milano dall’8 al 10 settembre, Calenda ha infatti ribadito come il lavoro che il governo sta facendo, lavoro che deve andare di pari passo con quello degli imprenditori (anche) della filiera del tessile, sia di lavorare sull’internazionalizzazione. “Non dobbiamo mai fermarci, mantenendo però il parametro della qualità”, ha sottolineato il vice ministro. “Penso cioè che una fiera come Milano Unica debba mantenere questa sua ‘unicità’ accogliendo relativamente pochi espositori, dando però la priorità a quelli provenienti dall’estero”. In queste affermazioni sta il “sugo della storia”, l’impronta che una fiera come Milano Unica deve lasciare in un percorso mirato al rilancio. E ora, all’indomani dell’appuntamento di settembre ma anche della nuova edizione di Milano Unica a New York lanciata lo scorso luglio, per le aziende e per tutti i protagonisti della manifestazione è arrivato il momento della resa dei conti. Con il destino internazionale. Un percorso e un destino che, a partire da questo mese, sarà portato avanti dal nuovo presidente di Milano Unica, l’amministratore delegato di Reda Ercole Botto Poala (vedi box nelle pagine successive). Il presidente uscente Silvio Albini ha infatti ufficialmente passato il testimone proprio all’apertura della manifestazione di settembre. La strada dell’internazionalizzazione è stata intrapresa tempo fa ed è culminata nell’avvio di due fiere gemelle: prima una a Shanghai, poi l’ultima nata, appunto a New York. E questa strada è apparsa tanto più necessaria alla luce dei dati diffusi durante i tre giorni della manifestazione. Dati che evidenziano, da una parte, un settore in difficoltà, dall’altra che offrono già la chiave per superare l’impasse. Se, infatti, nei primi mesi di quest’anno la produzione industriale è calata del 4,1% rispetto allo stesso periodo dell’ anno scorso, e anche l’ export dei tessuti italiani è sceso del 2,3%, ci sono mercati in continua crescita. I più eclatanti sono i soliti noti: Stati Uniti in testa, tutt’oggi il quarto Paese di esportazione dei nostri tessuti, nonché un mercato in cui “abbiamo toccato solo la superficie – ha fatto notare Calenda – e dove ci sono almeno altri 10 miliardi di euro di valore potenziale”. Un’area in crescita non solo per il tessile, ma per tutta l’economia italiana: nei primi sei mesi dell’anno, infatti, l’export è cresciuto del 5% e gli Stati Uniti valgono oggi il 28% per l’economia italiana, contro una media europea del 15 per cento. “Ma dobbiamo riuscire ad approcciare la distribuzione – ha sottolineato il vice ministro – altrimenti tutto il lavoro fatto svanisce”. E, per farlo, alle aziende non resta che presentarsi unite e moltiplicare le occasioni di incontro con gli operatori del settore. E poi la questione Cina. Le esportazioni del tessile verso l’ex Impero Celeste sono salite del 12,7% nei primi sei mesi di quest’anno e del 9,8% verso Hong Kong, due Paesi che, insieme, continuano a rappresentare il secondo mercato di sbocco della tessitura italiana. Gli effetti del crollo finanziario di Shanghai non sono ancora quantificabili per il sistema moda e per il tessile, come per tutti gli altri settori dell’economia. Eppure, “Non sono preoccupato dell’effetto diretto, bensì dei problemi sistemici”, ha detto il vice ministro. E benché sia certo che, come sistema Italia, “perderemo 3-4 miliardi di euro su 400 miliardi complessivi – ha aggiunto Calenda – e che il problema della Cina sia molto grosso, tuttavia non è un problema economico: è parte dell’evoluzione da economia di consumo a economia di lusso”. Quello che bisogna evitare è che si ripeta il paradigma russo: Shanghai non va isolata, ma anzi è necessario starle vicino. E poi Corea e Giappone, cioè le due aree geografiche alle quali Milano Unica ha dedicato due spazi all’interno della manifestazione: 47 aziende hanno partecipato all’Osservatorio Giappone, il 62% in più rispetto all’edizione precedente, mentre l’Osservatorio Corea ha debuttato quest’anno con dieci aziende. E, grazie a queste presenze, il numero complessivo di espositori stranieri a Milano Unica è balzato del 77,7 per cento. E ancora, una serie di Paesi sui quali il governo sta investendo in incontri e missioni e nei quali Roma crede molto, come aree di opportunità future. A fine ottobre istituzioni (Matteo Renzi compreso) e imprenditori saranno in missione in Cile, Colombia, Cuba e Perù. Poi il prossimo anno sarà la volta di Ghana ed Etiopia e, tra la fine di quest’anno e febbraio dell’anno prossimo ci saranno missioni in Corea e in Vietnam, ha anticipato Calenda. Per non parlare di Congo e Mozambico: Maputo, capitale del Mozambico, è una delle città più care al mondo. Più di New York. A Calenda fanno eco i commenti degli imprenditori di Milano Unica.
Quello in atto è un riassetto mondiale con pochi precedenti, ma non deve spaventare gli imprenditori né frenare gli investimenti all’estero. “Sono molto fiducioso nel futuro”, ha raccontato Ercole Botto Poala. Perché se la “Cina non ha risolto del tutto i suoi problemi”, questo resta un fatto “fisiologico” per un Paese cresciuto ai ritmi di Shanghai. “Presidiamo gli Stati Uniti, ma anche Hong Kong, Shanghai e Osaka, attraverso uffici diretti”, ha ricordato a Pambianco Magazine Lincoln Germanetti, amministratore delegato di Tollegno 1900. “È vero che gli occhi del mondo sono puntati sulla Cina, perché è sempre lì che si producono numeri alti”. E Milano Unica resta uno strumento “fondamentale” sia per mantenere i rapporti sia per attirare nuovi clienti, se inserita in un circolo virtuoso che comprende più fiere e consente al networking di produrre anche frutti concreti. Parola di chi, come appunto Germanetti, è appena stato in Russia per partecipare per la prima volta al Cpm di Mosca (con i marchi Julipet e Trussardi), la fiera del sistema moda e tessile che si è svolta a inizio settembre, una sorta di Première Vision russa. “A New York ho avuto l’impressione di una manifestazione ben riuscita”, è stato il commento del vice ministro allo Sviluppo economico. Per non parlare del fatto che, aumentando gli appuntamenti con i buyer, si moltiplicano le occasioni per tutti: “Milano Unica è dominata da Ideabiella, che fa un certo tipo di prodotto – ha fatto notare Lorenzo Bonotto, titolare dell’azienda che porta il suo nome – e così, se si ha la possibilità di mettersi in mostra in altri contesti, è tanto di guadagnato”. Con una premessa, però. “L’internazionalizzazione è un dato di fatto, ma l’approccio deve essere customizzato – ha dichiarato a Pambianco Magazine Claudio Marcolli, managing director di Swarovski Professional Italia – abbiamo cioè bisogno di preservare le tipicità e le capacità delle diverse abilità artigiane. Oserei dire che è essenziale avere un ‘pensiero’ internazionale, ma è altrettanto necessario essere in grado di declinare questo ‘pensiero’ a un livello locale. Senza farsi frenare dalle crisi economico-finanziarie che affliggono oggi un Paese, domani un altro. “Le turbolenze fanno parte delle dinamiche di mercato, allo stesso modo in cui si presentano, si risolvono, l’importante sono la flessibilità e la capacità di adottare le strategie necessarie”, ha concluso Marcolli. Nella pratica, dunque, il lancio di Milano Unica Shanghai prima e di Milano unica New York lo scorso luglio è stato utile proprio per allargare la cerchia dei contatti. Così la pensa il vice ministro Carlo Calenda e, naturalmente, l’ormai ex presidente della manifestazione Silvio Albini. Ma non tutti sono d’accordo, ed è facile prevedere che questa sarà una delle sfide che la nuova presidenza dovrà affrontare. Il nodo, infatti, è più complesso di quanto possa sembrare.
Da una parte, moltiplicare le occasioni di contatto aumentando le fiere rientra nella strategia di internazionalizzazione, sia del mondo industriale sia del governo. Dall’altra, non è sempre cosa facile per aziende che attraversano momenti di difficoltà economica. Non solo. A Milano Unica New York “abbiamo già visto tutto quello che abbiamo rivisto a Milano, quindi l’utilità del raddoppio di fiere è ancora tutta da vedere”, ha ripreso l’amministratore delegato di Lanificio Tollegno. Due correnti di pensiero non sempre univoche, che rischiano forse di minare l’unità dei protagonisti del tessile. Unità che resta sempre fondamentale per potersi presentare all’estero compatti e dare a tutti la forza di “esserci”. La strategia aggregante, insomma, sta davvero funzionando? La risposta non è scontata, ma è decisiva, perché anche da questo dipenderanno le scelte del governo, che dovrà decidere se continuare a investire sulle stesse fiere o cambiare target. “Il sistema della moda italiana secondo me è sano, gli imprenditori sono sani”, ha confermato Calenda. “Abbiamo lavorato insieme per decidere dove mettere i soldi e continueremo a farlo, ma non è solo una questione di soldi”: l’importante è investire su chi ha le carte in regola per emergere. “Non deve esserci equilibrio fra città e tra fiere in materia di finanziamenti, perché questi devono essere guidati dai principi di qualità e utilità”. E così, “i prossimi dodici mesi saranno cruciali per Milano Unica e per il sistema moda”, ha continuato Calenda. Secondo il vice ministro l’intera filiera dovrà lavorare insieme su tutti i fronti, dall’estero alla sostenibilità, altro valore aggiunto imprescindibile. Suona un po’ come un avvertimento. Ma anche come una chiamata a raccolta del tessile e, insieme, dell’intero sistema del fashion: “Dobbiamo istituire un board nazionale della moda – ha annunciato – il cui consiglio di amministrazione si riunisca due volte all’anno per dare un imput unico al sistema”. Un organismo con poteri decisionali, insomma. Un’idea che chiude il cerchio: senza unità non c’è rilancio. E questa torna a essere la sfida di Milano Unica.
di Teresa Potenza