Nato come Design District, sta cedendo il passo ad abbigliamento, orologi, gioielli e accessori. E chissà che, nell’era post-castrista, non arrivino anche partner cubani.
Oggi conta 132 showroom, tra design, arte, fashion & luxury. Tutto il mondo lo conosce come Miami Design District, ma pochi sanno come è nato, e come è andato evolvendo nel tempo. Il Design District di Miami (Ddm) nacque durante il boom degli anni Venti, quando Theodore Moore aprì il suo showroom di arredamento ‘Moore & Sons’ e iniziò a creare una ‘via dei designer’. Fino agli anni 90, gli spazi rimasero in gran parte vuoti finché il visionario imprenditore Craig Robins, collezionista d’arte e costruttore di South Beach, intravedendone il potenziale ne finanziò la ristrutturazione. Furono così poste le fondamenta di quello che è l’attuale distretto. La trasformazione convertì i magazzini abbandonati in showroom in grado di attrarre designer d’avanguardia da tutto il mondo, i quali iniziarono ad aprirvi uffici, spazi espositivi, gallerie, boutique, ristoranti e atelier per giovani artisti. Robins fece centro quando riuscì a convincere la prestigiosa fiera svizzera Art Basel a ospitare un evento in collaborazione, Design Miami and Art Basel Miami Beach, nel mese di dicembre. Mdd è di proprietà di Miami Design District Associates, una partnership tra Dacra, di Craig Robins, e L Real Estate, fondo di investimenti internazionale in real estate, specializzato nella realizzazione di destinazioni di shopping di lusso.
I primi a insediarsi
II centro del Design District è Oak Plaza, ma gli showroom si estendono dalla 39th alla 40th Street, e tra NE 2nd Avenue e North Miami Avenue. Tra installazioni e gallerie d’arte si contano 19 ‘spots’, il design ha 66 showroom già presenti e un nuovo opening, quello di Lladro, in arrivo. Tra i brand di arredamento italiani si trovano Minotti, Alessi, Armani Casa, Bisazza, Boffi, Arclinea, Driade, Flos, Kartell, Moroso, Poliform, Poltrona Frau, Versace Home, Zanotta. E molti altri internazionali. Con il tempo, ai palazzi già esistenti si sono aggiunte nuove costruzioni, incrementando così la disponibilità di location in un’area di grande interesse per i flussi turistici, a soli 10 minuti da South Beach.
A colpi di store openings
Il distretto ha guadagnato una tale notorietà a livello internazionale da attirare l’attenzione del mondo della moda. In primis, del gruppo Lvmh che ha deciso di insediarsi con 12 brand, seguito da Compagnie Financière Richemont che ne ha portati dieci. Si è aperta in questo modo la porta al lusso e al fashion, con le boutique di Christian Louboutin, Marni, Maison Martin Margiela, Cartier, Céline, Luois Vuitton, Agnona, Dior Homme, Prada, solo per citarne alcune. Di recente sono arrivati, tra gli altri, anche Hermès, Berluti, Burberry, Bulgari, Giorgio Armani, Ermenegildo Zegna, Tiffany, Tom Ford, Valentino e Versace. La distanza tra numero di showroom di design e di moda si sta assottigliando, con i primi che a breve si attesteranno a quota 67, mentre i secondi raggiungeranno i 59. E’ notizia di questi giorni, inoltre, che anche la società finanziaria statunitense specializzata nei settori di private equity Blackstone stia puntando su Miami. La società si è, infatti, assicurata un prestito di 600 milioni di dollari (pari a circa 555 milioni di euro) per contribuire a trasformare quello che una volta era un quartiere periferico della città in una destinazione del retail di lusso. Blackstone investirà 100 milioni di dollari, mentre Bank of China ne metterà 250. La parte restante sarà divisa tra Deutsche Bank e Crédit Agricole.
Unire le esperienze creative
Il distretto sta diventando un polo attrattivo promotore di una convergenza tra esperienze creative diverse tra loro (design, moda, arte, architettura, food), ma con l’obiettivo comune di rendere la zona la destinazione ideale per americani e stranieri alla ricerca delle migliori esperienze di shopping, cultura e cibo, all’interno di un contesto architettonico rilevante. Il progetto di rinnovamento strutturale del complesso è stato firmato da Duany Plater-Zyberk con la partecipazione di diversi architetti, tra i quali Walter Chatham, Hariri and Hariri, Juan Lezcano, Terence Riley e Alison Spear.
Il futuro del distretto
Il distretto sta attraversando una ulteriore fase di rinnovo che mira a renderlo architettonicamente all’avanguardia. Tra gli architetti che firmeranno i nuovi progetti figurano, infatti, Sou Fujimoto, Aranda/Lasch, K/R, Iwamoto Scott e The Buckminster Institute che andranno ad unirsi alle installazioni già esistenti di Zaha Hadid e Marc Newson.
Miami – cuba, un po’ di storia
Più che mai, oggi, Miami è ispanica. Qui l’inglese è stato relegato a idioma burocratico. I cubani di Miami, e della Florida in generale, formano ormai diversi strati di cui il più antico è quello dei rifugiati dopo la presa del potere di Fidel Castro nel 1959. Nei primi anni Sessanta, gli americani organizzarono un ponte aereo per mettere in salvo a Miami una classe affaristica cubana, non sempre di ottima reputazione. Da allora sono arrivate a Cuba 300mila persone, compresi i criminali ergastolani che Fidel spedì sul suolo statunitense. Oggi i cubani espatriati sono neo laureati (molti medici), agricoltori e gente comune. Miami, nel tempo, si è affermata come vera capitale del Sud America e conta, nell’area metropolitana, circa 5 milioni di abitanti.
Miami dopo castro
L’annuncio della ripresa dei rapporti diplomatici tra Stati Uniti e Cuba ha visto reazioni controverse da parte della comunità cubana di Miami. Gli anticastristi si sono sentiti traditi da Obama, ai loro occhi colpevole di non aver imposto a Raul Castro concrete garanzie di democrazia e libertà. Si teme, inoltre, il rafforzamento del regime dei fratelli Castro che mira a trasformare l’isola in una piccola Cina caraibica: con forti guadagni per il partito comunista. Dal punto di vista imprenditoriale, sicureamente l’abbattimento delle barriere tra i due Paesi favorirà investimenti reciproci con le attività americane che atterrerano sull’isola e lo sbarco sulle coste americane, e a Miami nello specifico, di realtà cubane. E’ prevedibile, dunque, una crescita del giro d’affari anche per il distretto del design di Miami, non solo per la maggior affluenza di visitatori, ma perché proprio nei suoi spazi potrebbero entrare nuove società cubane.