Rossano Soldini, il presidente dell'Anci, l'associazione dei calzaturieri, che è da sempre tra i più convinti sostenitori dell'etichetta made in Italy, si dice «esterrefatto. Bisogna sapere quel che si rischia in questo modo». E quel che si rischia sono, dice Soldini, in primo luogo aziende e posti di lavoro. Per giunta in un momento in cui la ripresa sta facendo tornare un po' di sorrisi.
L'oggetto del contendere è la sentenza con cui la Corte di Cassazione giovedì scorso ha promosso il «disegnato in Italia». Una sconfitta per chi punta invece sul made in Italy, cioè il «fatto» qui. Il dibattito è aperto da tempo e nonostante prese di posizioni, manifestazioni e petizioni non si è mai arrivati all'introduzione dell'etichetta obbligatoria, essendo l'Europa, che su questo si deve esprimere, divisa in due: da una parte i produttori di moda, con in testa l'Italia, dall'altra gli attori della grande distribuzione, capitanati dai Paesi del Nord.
«Purtroppo, in base alle regole attuali la sentenza della Cassazione è corretta, dice Valeria Fedeli, segretaria della Filtea Cgil e dei sindacati tessili europei. Quello cui dobbiamo arrivare, e che come sindacato rilanciamo, è l'etichettatura obbligatoria extra Ue che la Commissione europa ha varato il 16 dicembre 2005, che i giuristi della stessa Commissione hanno verificato essere compatibile con le regole del Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio, ma che non ha ancora la maggioranza dei governi perché sia approvare. Il nostro obiettivo dev'essere tracciabilità e trasparenza completa, compresa la composizione. Poi ogni marchio si assumerà giustamente la responsabilità delle sue produzioni».
La stragrande maggioranza dei grandi gruppi, infatti, produce ormai da tempo all'estero parti anche importanti di ciò che propone al consumatore. Jeans, t-shirt, piumini, soprattutto. E poi scarpe sportive, occhiali e altro ancora. Solo l'alta e altissima gamma possono considerarsi 100% italiane, e anzi l'Italia è il centro delle produzioni di eccellenza anche dei gruppi stranieri, che qui fanno fare per esempio tutta la loro pelletteria più alta. Chi produce all'estero e in particolar modo chi ha marchi molto forti è solitamente più propenso all'«disegnato» o al «pensato» in Italia perché nei confronti del consumatore più far valere la forza del suo brand.
Estratto da CorrierEconomia del 5/03/07 a cura di Pambianconews