La Cina ha ufficialmente scavalcato l´Italia nella classifica delle nazioni industrializzate, relegandoci al settimo posto. L´exploit cinese è avvenuto un anno fa ma è stato rivelato solo ieri dalla revisione delle statistiche sul Prodotto interno lordo: l´equivalente dell´Istat di Pechino ha ritoccato a 1.930 miliardi di dollari il Pil cinese del 2004, contro i 1.670 miliardi dell´Italia. La Cina più di noi, quindi, dovrebbe avere voce nel G-7, il Gruppo dei sette grandi, di cui invece ancora non fa parte. Lo scossone nella classifica delle potenze industriali è il risultato di due fattori. Il primo è il divario tra una Cina in irresistibile ascesa e un´Italia inchiodata al suo declino: è da un decennio che Pechino mette a segno regolarmente una crescita del Pil del 9% all´anno, mentre nello stesso periodo l´Italia è affondata nella stagnazione.
In realtà il ritocco al rialzo del Pil di Pechino dovrebbe essere molto superiore. Il peso reale dell´economia cinese è ancora più elevato di quanto non dica il sorpasso sull´Italia. Il valore di 1.930 miliardi di dollari infatti utilizza i prezzi correnti, e li converte usando la parità fra la moneta locale (renminbi o yuan) e il dollaro. E´ quindi un valore ancora inesatto per due ragioni: da un lato perché la moneta cinese è sottovalutata (gli americani sostengono che dovrebbe valere un 20-25% in più), d´altro lato perché il Pil nominale non tiene conto che il livello dei prezzi in Cina è molto inferiore. A parità di reddito il potere d´acquisto è molto più alto a Shanghai e Canton che a Roma e Milano (o New York).
L´Ocse ha rivelato che il made in China ha rubato agli Stati Uniti il ruolo di leader nelle esportazioni di prodotti hi-tech. Dopo un decennio di crescita-record della sua industria elettronica la Cina ha superato per la prima volta l´America come maggiore fornitore mondiale di tutti i prodotti dell´Information Technology: l´insieme delle sue vendite di personal computer, laptop, telefonini e videocamere digitali ha raggiunto i 180 miliardi di dollari contro i 149 miliardi delle esportazioni americane.
L´Italia è il paese che soffre di più per l´irruzione del made in China sui mercati mondiali, perché il nostro modello di sviluppo è il più vulnerabile a questo tipo di sfida. Abbiamo coltivato specializzazioni in settori come il tessile-abbigliamento e il calzaturiero, dove la disponibilità di un immenso bacino di manodopera a buon mercato dà alla Cina un vantaggio competitivo inesauribile. Abbiamo tentato di spostarci su fasce a più alto valore aggiunto, puntando sulla qualità e il lusso, ma rapidamente si affacciano sulla scena dei designer asiatici che hanno l´ambizione di gareggiare anche a quei livelli.
Estratto da La Repubblica del 21/12/05 a cura di Pambianconews