Dopo aver lavorato per 35 anni come manager in aziende come Marzotto e Zignago dove la figura del padrone era un punto di riferimento, oggi Antonio Favrin ha trovato per la Valentino fashion group una formula di governance lontana da quella tradizione: cinque indipendenti hanno la maggioranza in un consiglio che ha un ruolo importante nel governare l´azienda. Dice: «Se le aziende vogliono essere globali, e la Valentino è tale visto che fattura in Italia meno del 10% del totale, dobbiamo adottare soluzioni che ne tengano conto e che si basino su formule adatte ad una cultura da mercato globale».
In che senso?
«Nel senso che quella che va difesa è l´azienda, la sua capacità di produrre valore, e non questo o quell´azionista in particolare». «Credo che, come è avvenuto nella soluzione della Valentino, uno dei ruoli più importanti a questo fine sia quello di un consiglio di amministrazione che non sia il rappresentante di questo o quell´azionista, ma che sia composto da uomini intelligenti che riescano a mettere insieme esperienze complementari e che sappiano lavorare d´accordo, in un clima sereno. Un organismo snello, nove o undici persone al massimo che possano essere un punto di riferimento».
É questa la soluzione per porre fine ai conflitti tra azionisti?
«É certamente questa una maniera perché si lavori nell´interesse dell´azienda nel complesso e non a protezione dell´interesse di singoli azionisti quali che siano. E´ una premessa perché l´azienda produca valore e stia sul mercato. Tutto il resto viene dopo: quando si cresce e c´è valore i conflitti si risolvono e la stabilità e la serenità si ritrovano facilmente».
Ma non è una rivoluzione inquietante per la tradizione del capitalismo familiare italiano?
«Forse. Ma i cambiamenti sono spesso inevitabili. Del resto se le rivoluzioni portano risultati alla fine gli animi si placano e torna la serenità».
Estratto da Affari&Finanza del 12/12/05 a cura di Pambianconews