Anche il settore del lusso mondiale ha brindato all'attesa rivalutazione decisa da Pechino della propria moneta che, in base alla forza d'urto dei consumatori della Grande muraglia, può tradursi in una spinta positiva alle già buone performance di vendita destinate al Far East. Tuttavia, come altri comparti, il luxury ha poi spostato l'attenzione, più che sugli effetti a breve, sul significato strategico della mossa cinese. E qui il brindisi, per qualcuno, si è fatto più amaro.
«Occorre fare attenzione, dice Giovanni Mannucci, partner di Deloitte e responsabile moda e lusso, perché questa decisione può essere il primo passo di una svolta strategica cinese, volta a svegliare il mercato interno su cui sviluppare una propria struttura di brand e distribuzione. Che rischia di tagliare fuori chi è in ritardo sulla strada per la Cina».
Chi brinda sono indubbiamente le società già posizionate in Cina e capaci, per dimensioni e tipologia di prodotto, di intercettare i turisti del Drago. Il renmimbi (nome ufficiale dell'unità monetaria, la cui unità base è lo Yuan) è stato rivalutato del 2,1% a un rapporto di 8,11 rispetto al dollaro, con un margine di oscillazione quotidiano dello 0,3% contro il biglietto verde e un paniere di valute. «L'analisi a 12 mesi – spiega un report di Goldman Sachs – suggerisce che la valuta cinese sarà rivalutata di un ulteriore 6 per cento. In tal caso, significherebbe un apprezzamento totale dell'8%, che potrebbe tradursi in incremento del 6% del fair value del settore del lusso».
La sfida si fa più dura «per i marchi che stanno cercando adesso, riprende Manucci, di consolidare la propria presenza nell'ex impero di mezzo». Come Tod's, o come Bulgari, arrivato a 15 punti vendita nell'area cinese, ma con boutique concentrate suprattutto a Hong Kong e Taiwan.
Estratto da Finanza&Mercati del 30/07/05 a cura di Pambianconews