Da zero a 22 milioni di euro di fatturato in tre anni, in un settore che ha perso il 35% di mercato nell'ultimo quinquennio. L'avventura sui generis di Morellato nel settore gioielleria sta in questi numeri. Lo scorso anno Morellato ha registrato ricavi consolidati per 48,1 milioni di euro, in crescita dell'8% in assoluto. Ma tenendo conto del fatto che nel 2002 il gruppo ha ceduto a Lvmh la divisione dedicata alla produzione di bracciali in metallo per orologeria, la crescita sarebbe del 22% a perimetro omogeneo. Riguardo alla redditività, l'ultimo bilancio presenta un risultato netto consolidato dopo le imposte di 2,9 milioni di euro (contro i 785mila del precedente esercizio). Il margine operativo lordo rappresenta il 15,1% dei ricavi, l'indice Ebit è attestato al 12,1% e al 16,6% sta il rapporto fra Ebit e capitale investito (Roi).
Ce n'è d'avanzo per indicare una #'case history'' anomala di questi tempi, nel campo del lusso e in particolare della gioielleria. Tanto più l'esperienza di Morellato emerge perché Massimo Carraro, amministratore delegato e contitolare del gruppo assieme al fratello Marco, segnala «con un po' di vergogna», a fronte della crisi internazionale, che i primi quattro mesi hanno registrato una crescita complessiva del fatturato del 25%, con uno sviluppo modesto del business tradizionale del cinturino e la produzione di gioielleria a fare da traino con un aumento dell'80% dei ricavi. Il budget dell'annata in corso pone quale obiettivo la soglia di 69 milioni di euro di ricavi totali, equamente spartiti fra cinturini e gioiello moda e con l'apporto di 9 milioni di euro dal business complementare degli astucci per gioielleria. Dovrebbero contribuire all'impennata anche le nuove collezioni di gioielleria “Molecole”, appena arrivate nei negozi e frutto di una joint venture con la storica azienda di oreficeria bassanese Silmar.
Estratto da Affari & Finanza del 2/06/03 a cura di Pambianconews