Giorgio Armani ha appena reso noti i risultati di un anno, il 2002, che è stato difficile per tutte le imprese della moda. Ma che ha dimostrato quali sono le aziende solide e quali invece castelli di sabbia. Con Armani che, con un fatturato di 1.301 milioni di euro e un utile operativo di 199 milioni, si conferma tra i gruppi più redditizi del settore, abbiamo fatto il punto su errori e prospettive.
Qual è l'utile netto del 2002? Nel 2001 era di 110 milioni…
«Cresce di circa il 7%, il consiglio approverà il bilancio a giorni».
Qual è la chiave dei risultati?
«Siamo stati capaci di affrontare i diversi settori del mercato, da Emporio Armani alla prima linea , cosa che è riuscita a pochi».
Guardando indietro, a cosa è dovuta la crisi della moda?
«Le avvisaglie c'erano già prima dell'11 settembre, negli Stati Uniti c'era stanchezza. Il mercato era stato inflazionato da un'esplosione di proposte. Negli anni '70 c'era una bella serie di creativi che, però, limitava la presenza di prodotti sul mercato. Invece, negli ultimi tre-quattro anni la massificazione del lusso ha portato confusione. Altro fatto negativo è stato l'annullamento della creatività con il minimalismo. Si è fatto tutto uguale, ma a prezzi molto differenti da quelli che si possono trovare in un grande magazzino: un divario inaccettabile che ha creato una reazione, come se avesse scoperto le carte».
E adesso?
«Il 2003 e il 2004 non saranno brillantissimi, il mercato è quello che è, la gente è impaurita. I negozi negli Usa vendono poco e l'Europa ne risente di conseguenza. Una situazione che servirà, lo dico senza gioire, a setacciare il mercato che era lievitato in maniera abnorme, con situazioni a cui non corrispondevano vere realtà. Come Armani, non abbiamo ripensamenti sugli investimenti che abbiamo programmato ma, forse, qualche libertà che mi sarei preso oggi me la pongo come limite. Dobbiamo poter affrontare un periodo di stasi. Alla fine arriveremo a una nuova segmentazione dei prodotti».
Cosa farà da grande?
«Non farò il sindaco, come qualcuno dice. Vorrei riuscire ad applicare il mio senso pratico non alla moda. Occuparmi del sociale, della gente che cerca riferimenti. Dei giovani, soprattutto. E, poi, vorrei sistemare Milano, una città che tutti amiamo ma non favoriamo. Qualcosa è stato fatto ma, il sindaco Albertini non me ne voglia, in centro abbiamo marciapiedi sconnessi, punti in cui mancano semafori e alle sette di sera non c'è più in giro nessuno. E abbiamo case bellissime distrutte dai graffiti: piuttosto diamo a chi li fa un luogo dove sfogarsi. Oppure sono deturpate dalle insegne al neon che sono la negatività più totale: su questo sarei proprio ferreo».
Estratto da CorrierEconomia del 14/04/03 a cura di Pambianconews