Nella parte finale dello scorso anno e nei primi mesi del 2003 si è finalmente interrotta la caduta produttiva dell'industria tessile italiana: tutti i maggiori comparti (cotoniero, laniero e serico) mostrano infatti segnali di assestamento, grazie anche a meri effetti statistici dovuti a confronti con periodi che già evidenziavano forti cadute. Ciò sta orientando in senso progressivamente meno pessimista anche le attese degli imprenditori, reduci da un 2002 molto tormentato, un vero e proprio annus horribilis per il tessile made in Italy.
Le forti cadute produttive della prima parte del 2002 si stima abbiano lasciato tracce molto evidenti nel consuntivo annuale dell'industria tessile nazionale: 19.3 miliardi di euro di fatturato, in calo del 5.2% rispetto al 2001. Nell'industria tessile-laniera, il consuntivo annuale è stato tuttavia ancora più pesante (poco più di 5 miliardi di euro, -9.7% rispetto al 2001 nelle nostre stime): il culmine del rallentamento della domanda tessile ha infatti coinciso con la campagna ordini invernale 2002-2003 che si è chiusa con flessioni superiori al 12% sul mercato domestico e al 5% per le fonti estere. Ciò ha comportato brusche cadute produttive nella prima parte dello scorso anno che non si sono potute recuperare con le vendite dell'estivo 2003 che, pur mostrando cedimenti meno evidenti, coinvolgono volumi strutturalmente inferiori. Il comparto tessile-serico (1.6 miliardi di fatturato) e, soprattutto, quello cotoniero-liniero (11.3 miliardi) dovrebbero invece essere stati in grado di contenere intorno al 5% le flessioni medie del 2002: il primo grazie ai chiari segnali di risveglio della domanda registrati per la stagione estiva 2003, il secondo grazie a un ciclo complessivo meno turbolento. Rispetto alle difficoltà registrate sul fronte delle vendite, gli effetti sui bilanci aziendali del 2002 saranno comunque più pesanti a causa dello stress esercitato sui margini unitari dall'avvenuta flessione dei listini di vendita. Questi ultimi infatti hanno dovuto assorbire sia la debolezza della domanda sia la difesa delle quote di mercato, in un contesto di prezzi delle materie prime in aumento (+20% circa dall'inizio del 2002).
L'edizione di Pitti Immagine Filati che si apre oggi, rappresenta un importantissimo momento di verifica: la manifestazione consentirà infatti di testare ulteriormente (sia in termini di tempistica, sia di intensità) le aspettative di lenta ripresa che non sono state smentite dai risultati delle recenti manifestazioni fieristiche dell'abbigliamento maschile. Allo stato attuale, le informazioni disponibili attualmente all'interno della filiera tessile-abbigliamento e quelle sull'evoluzione prospettica del quadro macroeconomico (ma quanti downside risks connessi ai venti di guerra su questo fronte!) consentono infatti di prevedere per l'anno appena iniziato l'avvio di un percorso di recupero per tutto il sistema della moda italiana. E dovrebbero essere proprio gli anelli del �monte�, strutturalmente più esposti all'evoluzione del ciclo internazionale, a ottenerne per primi i benefici. Il recupero atteso per quest'anno (+2.7% per il fatturato complessivo dell'industria tessile) non sarà tuttavia di intensità tale da consentire di compensare la caduta dello scorso anno. La ripresa della domanda tessile nazionale � alimentata da attese di recupero dei consumi finali soprattutto a partire dalla prossima stagione invernale � non sarà di entità eccezionale, mentre il contributo del commercio estero sarà solo debolmente positivo, nonostante la progressiva accelerazione della crescita internazionale. L'incremento delle esportazioni sarà infatti frenato, nei mercati extra-europei, dall'apprezzamento dell'euro, mentre in Europa peserà ancora negativamente la scarsa capacità di assorbimento del mercato tedesco, sbocco principale della produzione tessile italiana. Inoltre, nell'accesso ai mercati emergenti più dinamici sul fronte tessile, Cina e India, le aziende italiane continueranno a incontrare ostacoli tariffari e non tariffari molto rilevanti. Contemporaneamente le importazioni continueranno a soddisfare il 22% della domanda nazionale. Nel 2003 il saldo commerciale settoriale è comunque atteso ritornare sopra la soglia dei 4.3 miliardi di euro.
La nostra industria tessile ha prodotto nel 2002 circa 337mila tonnellate di filati per maglieria per un controvalore complessivo di poco superiore ai 4.1 miliardi di euro. Nei quantitativi prodotti il calo stimato rispetto al 2001 è superiore al 10%. I filati lanieri pettinati hanno continuato a rappresentare quasi la metà della produzione complessiva in quantità, la componente cotoniera si è attestata poco sopra il 21%, seguita da quella chimica (17.2%) e dai filati lanieri cardati (11.5%).
Sul mercato estero � che garantisce al comparto oltre il 50% del fatturato � la flessione complessiva delle vendite di filati (nei dati ISTAT non è purtroppo possibile isolare la sola componente destinata alla maglieria) registrata nei primi nove mesi del 2002 è dell'8.4%, dopo che già nel 2001 le vendite estere complessive di filati (2.67 miliardi di euro) avevano mostrato una leggera flessione (-1%). I dati di sintesi, relativi al periodo gennaio-settembre 2002, mostrano comunque forti differenze fra i vari tipi di filato. In particolare, se la flessione ha superato il 17% per i filati lanieri cardati, i prodotti lanieri pettinati hanno contenuto il calo al -5.5% (dopo l'incremento superiore all'11% messo a segno nel 2001), i prodotti cotonieri hanno subíto un cedimento dell'8.3% e la componente chimica del 7%.
Sul mercato interno, infatti, la domanda di filati ha subíto gli effetti negativi connessi al deludente andamento dell'attività produttiva dei maggiori settori utilizzatori: l'anno passato si è infatti chiuso (in base al campione monitorato nelle indagini congiunturali SMI) con flessioni produttive dell'ordine del 3% sia nella maglieria esterna femminile sia nei tessuti a maglia. Sostanzialmente stabile è risultata la produzione di maglieria da uomo e solo il settore dell'underwear sembra essere riuscito a mantenere in crescita i propri livelli di attività. Queste performance sono state a loro volta determinate da un andamento dei consumi finali poco brillante; in un contesto già caratterizzato da consumi stagnanti per tutto l'abbigliamento, infatti, i prodotti di maglieria sono stati fra i più penalizzati.
Nel segmento femminile (che rappresenta i ⅔ del totale), la primavera-estate (P/E) 2002 si è infatti chiusa con consumi finali stagnanti nelle quantità e solo debolmente in crescita nella spesa, sintesi di un andamento ancora favorevole per i vari tipi di top e per le t-shirt (i cui modelli e fantasie hanno continuato ad attirare le consumatrici) e di flessioni consistenti per polo e maglioncini.
In sintesi, anche la filatura italiana dovrebbe aver superato il punto di minimo di questa fase ciclica e il prezzo pagato dalle aziende italiane è stato elevato, sia in termini di occupazione sia di profitti. La fase attuale è quella della convalescenza e come tale è soggetta a rischi di ricadute (possibili, se un deterioramento della situazione geo-politica internazionale dovesse riflettersi negativamente anche sul quadro macroeconomico), ma anche a recuperi più rapidi del previsto. Lungo tutta la filiera tessile, infatti, le scorte sono ridotte al minimo e qualche segnale positivo sul fronte della domanda potrebbe mettere in moto un meccanismo di riadeguamento dei magazzini con effetti moltiplicativi sulla domanda e sull'attività settoriale.