Il mercato dell'abbigliamento per bimbi e ragazzi si è confermato, lo scorso anno, come uno dei più dinamici dell'intera filiera tessile-abbigliamento italiana. Le oltre 2.000 aziende (per complessivi 30.000 addetti) attive nel comparto del junior apparel hanno infatti archiviato il 2002 con un incremento annuo del 3.3% che ha portato le vendite complessive a superare abbondantemente la soglia degli 1.8 miliardi di euro. Risultato questo che, pur segnalando un sensibile rallentamento rispetto agli ultimi anni, è da interpretarsi positivamente, sia perché consente di portare abbondantemente sopra il 20% l'incremento cumulato degli ultimi 4 anni, sia perché è stato ottenuto in un anno non certo favorevole per la moda italiana nel suo complesso.
La nicchia rappresentata dall'abbigliamento junior, pur caratterizzata da una domanda fra le più erratiche all'interno del paniere dei prodotti di abbigliamento, si conferma quindi come uno dei punti di eccellenza del nostro sistema moda.
I risultati più soddisfacenti sono stati ottenuti sui mercati esteri (+4.3%) dove è stato realizzato poco meno di ⅓ del fatturato complessivo.
Il dettaglio delle performance per singolo mercato di destinazione (purtroppo nella classificazione ISTAT disponibile solo per il �piccolo� segmento del �neonato�) evidenzia, per i primi otto mesi del 2002, incrementi in sei dei primi dieci mercati di sbocco della produzione italiana: particolarmente interessanti i risultati ottenuti sui mercati giapponese (12.3 milioni di euro esportati con un incremento superiore all'86% rispetto al corrispondente periodo del 2001) e tedesco (7 milioni di euro, +14.6%) in quanto marcano una netta divaricazione fra l'andamento di questo segmento dell'abbigliamento e il sistema moda nel suo complesso. Anche la flessione del mercato americano ha assunto dimensioni molto più contenute rispetto alla media del tessile-abbigliamento.
Sul mercato italiano, i consumi finali di prodotti di abbigliamento per l'infanzia (espressi a valore di sell-out) si sono attestati a 3.44 miliardi di euro con un incremento di spesa dell'1.4% rispetto al 2001. Ancora una volta, un risultato migliore rispetto alla media dei prodotti del tessile-abbigliamento (-1.1%). Lievi incrementi nella spesa complessiva hanno riguardato tutti i segmenti del junior apparel, ma le variazioni positive più consistenti (+1.5) hanno riguardato l'esterno (che da solo vale i � del mercato).
Per quanto riguarda la spesa pro-capite, le famiglie italiane hanno speso mediamente di più (414 euro per bimbo/ragazzo, +1.2% rispetto al 2001) continuando a privilegiare gli �estremi� del mercato: neonati e pre-adolescenti. Nel primo caso (435 milioni di euro, +4.8%) si è recuperato parte del terreno perso nel 2001, mentre i ragazzi fra gli 11 e i 14 anni (478 milioni di euro, +0.2%) si sono confermati come il target più interessante (in termini di disponibilità alla spesa) di tutto il settore.
In termini di funzioni (Figura 2), le confezioni sportswear hanno continuato a giocare il ruolo principale (36.8% del totale consumi), seguite da maglieria (24.8%) e neonato (13.6%).
Dal lato dell'offerta, il settore dell'abbigliamento per bambino, pressato da un'accesissima concorrenza internazionale, è fra quelli che si è spinto avanti nei processi di esternalizzazione: la produzione diretta all'estero e l'acquisto di capi finiti oltre confine assumono infatti un'importanza superiore alla media del sistema moda italiano, ma anche il ricorso al terzismo nazionale (dalle indagini SMI risulta che oltre il 40% della produzione è effettuata presso terzisti italiani) è molto intenso. Questa organizzazione della produzione ha finora garantito indubbi successi, ma nuove sfide attendono ora gli imprenditori del comparto: dal mercato retail arrivano infatti input molto pressanti in direzione di una riduzione dei tempi di consegna, di un maggior ricorso a riassortimenti e di un aumento nella frequenza delle campionature.
Tutte attività che necessitano di relazioni di filiera ancora più intense fra industria (dai filatori, ai tessitori, alla confezione) e distribuzione, che consentano di rispondere tempestivamente alle tendenze che emergono da un mercato finale con consumatori sempre più competenti, più imprevedibili e �infedeli�, ancora sensibili al fascino della griffe ma attentissimi alla qualità assoluta del prodotto.
Sul fronte della distribuzione, nel 2002, il dettaglio tradizionale, pur continuando a intermediare quasi il 41% dei consumi totali di abbigliamento junior, ha perso nuovamente terreno rispetto alle grandi superfici e, soprattutto, alle catene monomarca. Il ruolo della grande distribuzione organizzata si è leggermente accresciuto, ma continua ad attestarsi su percentuali (10.3%) fra le più basse di tutti i prodotti di abbigliamento. L'evidenza che oltre i ⅔ dei consumi vengano gestiti da negozi tradizionali e catene monomarca testimonia infatti il ruolo cruciale giocato dalla vendita assistita in questo comparto.
Le previsioni per il 2003
Pur in una fase congiunturale non favorevole, come quella che ha caratterizzato la parte finale del 2002, la campagna ordini per la primavera-estate 2003 si è chiusa con lievi incrementi negli ordinativi di junior apparel.
Sui mercati esteri si è recuperato per intero il terreno perso nella stagione invernale, mentre sul mercato domestico il rallentamento registrato ha evitato di trasformarsi in caduta, come avvenuto per l'abbigliamento nel suo complesso.
Sul fronte dei consumi finali interni, per l'abbigliamento nel suo complesso si prevede una moderata ripresa a partire dalla prossima stagione invernale (+3.1% l'incremento atteso per la spesa complessiva) che, verosimilmente, apporterà benefici anche al segmento junior.