“Io non ho mai avuto il fuoco sacro della moda. Ho fatto il designer come avrei potuto fare l’avvocato o il medico. Non sono stato un bambino che sognava la moda disegnando i vestiti delle bambole. Però ho capito che con la moda potevo fare soldi, esprimermi e confrontarmi con quello che avevo intorno”. È un Giorgio Armani generoso di confidenze, episodi e retroscena quello che si racconta a ruota libera nella lunga intervista di copertina di Vanity Fair Italia appena pubblicata. Lo stilista e imprenditore italiano ripercorre alcune vicende della propria vita personale e professionale a quasi 50 anni dalla prima sfilata.
Dall’infanzia trascorsa nelle campagne piacentine al rapporto con il suo partner Sergio Galeotti, scomparso prematuramente, ripercorrendo l’inizio del successo internazionale: “La vera svolta fu la copertina del Time Magazine (aprile 1982, ndr): quella cover mi stupì e insieme mi spaventò. Mi dicevo, se sei su quella copertina la gente si aspetterà sempre il massimo da te”. Non mancano aneddoti sulla prima collezione, presentata all’hotel Palace di MIlano nel 1975: “Mi ricordo che stampavamo i tessuti con le fantasie appoggiandoci sopra i pennarelli. Le cose erano molto povere, devo essere sincero. Non andò bene, è vero”.
Armani conferma che lascerà la sua azienda a una fondazione con una parte della famiglia e qualche elemento esterno: “È stato un processo naturale. Nella mia vita, non mi sono mai posto il problema di dire ora faccio questo così domani ottengo quello. Sono sempre andato avanti facendo quello che amo e quello che ritengo vada fatto in quel momento storico preciso. Nella moda, nei rapporti, io vado sempre avanti”.
Lo stilista 89enne sente la mancanza del glamour di Yves Saint Laurent e Coco Chanel “perché aveva capito cosa bisogna fare con le donne. Allora occorreva cambiare quell’aria da figurino per dare alla donne quel gioco tra maschile e femminile. Oggi è tutto molto, molto più complicato. Ora c’è un’apertura alla propria identità e alla propria natura che finalmente libera e rispetta tutti. Non è più importante come o chi nasci, è importante viverlo in una maniera intelligente”.
Il punto di vista sui nomi emergenti è fermo: “Noto che i giovani designer sono spinti su strade che non hanno durata. Ma un designer deve fare una moda che è solo sua e che non cambi ogni settimana”. Tra i colleghi ammira Dries Van Noten “un personaggio davvero interessante. Hedi Slimane non lo capisco più. E poi due glorie: Jean Paul Gaultier, che ha saputo creare eleganza anche con ironia. E John Galliano, anche se ha pensato più all’effetto pedana, allo show che alle donne. Se poi parliamo di haute couture, allora mi piace il lavoro di Giambattista Valli“.
Tra i molteplici incontri lo stilista ricorda l’architetto Tadao Ando, “un genio piacevolissimo”, e Sophia Loren, “una donna profondamente ironica. In pubblico si atteggia da gran diva, ma in privato sa ridere di sé e del suo personaggio. Quando l’ho rivista a Venezia, a settembre dell’anno scorso, mi ha stupito il suo viso: ma come fai, le ho detto, che hai la mia età! Ho incontrato tante persone e, vede, il mio è un mondo in cui è difficile incontrarsi davvero. Però un’altra che voglio ricordare è Tina Turner, una donna deliziosa che poteva approfittare della sua fama per andare da qualche altro stilista, invece continuò a collaborare con me”.
L’imprenditore consiglia ai politici di studiare, di non dimenticare: “Io voglio votare sempre e solo persone che inseguano democrazia e libertà e non si dimentichino di che cosa è stato il passato”. Nella vita ha imparato “che devi fare di testa tua. Che non devi ascoltare” e infine cita una sua frase diretta ai collaboratori: “Se piace a me, deve piacere anche a te”.