In un’intervista ai media locali pubblicata qualche settimana fa, Massimiliano Sandri, imprenditore calzaturiero della Mosaicon Shoes, realtà di Vigevano da 20 milioni di euro specializzata nella produzione di scarpe da donna per brand del lusso, si è detto pronto ad assumere le 35 operaie in esubero dalla Moreschi, storico marchio di calzature di lusso dell’importante distretto calzaturiero lombardo. La Mosaicon, peraltro, non sarebbe l’unica azienda ad aver manifestato interesse nei confronti delle maestranze in uscita. La notizia è emblematica di quanto ormai lo scenario del fashion italiano si sia definitivamente trasformato, facendo passare l’Italia da culla di marchi di moda e lusso a Eldorado del terzismo di fascia alta internazionale.
Al di là dei piccoli brand che hanno come dimensione ottimale la nicchia di mercato, sono le medie aziende del comparto fashion a dover giocare la partita più difficile. Da una parte si trovano davanti l’incertezza di alcuni mercati emergenti che storicamente assorbivano la maggior parte delle vendite di questi brand e che ora non lo fanno più. Dall’altra c’è l’Italia come mercato di consumo, che ormai è diventato un bacino appannaggio dei grandi brand internazionali, siano essi colossi del lusso come anche del mass market, o ancora e sempre di più, dello sport.
Questo spiega come la vicenda Moreschi sia solo la punta dell’iceberg di una rivoluzione in Italia oramai in parte già avvenuta. Ad essere in crisi è il modello della frammentarietà della proposta moda italiana, soprattutto se non inserita nelle grandi aggregazioni fashion, non certo in sé il tessuto industriale, che, invece, consolida giorno dopo giorno la sua vocazione per il terzismo, soprattutto per l’alto di gamma e premium, raggiungendo per alcuni settori punte dell’80% della produzione mondiale.
Secondo la mappa sulla supply chain elaborata da Mediobanca nell’ultimo rapporto sulle aziende di moda in Italia, rispetto al 2018 il peso di fornitori italiani è aumentato di due punti percentuali a discapito soprattutto di quelli dell’Europa dell’Est e dell’Asia e la loro importanza è ormai sotto di occhi di tutti gli addetti ai lavori, primi tra tutti i grandi colossi e le società di private equity che, difatti, stanno moltiplicando i loro investimenti. Possiamo lamentarci o meno del fatto che la nostra forza come Paese patria di brand di successo sia in discesa, ma dall’altro lato non possiamo che rallegrarci per il fatto che diventare l’hub per eccellenza delle produzioni dei grandi brand del lusso in un numero oramai elevato di settori porti in Italia lavoro e investimenti senza pari in questi stessi ambiti.