In Corea del Sud la spesa pro capite per i beni di lusso supera quella di cinesi e americani. L’occasione è ghiotta anche per il made in Italy, come conferma Ente Moda Italia. A fare da collante culturale è il K-pop.
Un mercato sul quale il lusso ha iniziato a mettere gli occhi nel 2008, agli inizi della corsa retail nel Far East. Un Paese che negli anni successivi ha beneficiato di accordi di libero scambio con l’Unione Europea e che oggi attira sempre maggiori investimenti, forte dell’aumento del potere di spesa dei suoi cittadini. Smessi i panni di ‘Tigre Asiatica’, la Corea del Sud è una piazza consolidata per il fashion mondiale, che qui non trova i numeri del vastissimo Ex Celeste Impero, ma un bacino di clienti che spendono in media più dei cinesi.
Secondo un report di Morgan Stanley, diffuso dalla Cnbc, “la spesa totale sudcoreana per i personal luxury goods è cresciuta del 24% nel 2022, raggiungendo i 16,8 miliardi di dollari (poco meno di 16 miliardi di euro), pari a circa 325 dollari pro capite”. Rispetto al 2019, l’aumento cumulativo ammonterebbe al 40%, performance che renderebbe il mercato coreano uno di quelli a più rapida crescita dallo scoppio della pandemia. Il dato pro capite, spiega la banca d’affari, è una cifra di gran lunga superiore ai 55 e ai 280 dollari spesi, rispettivamente, dai cittadini cinesi e americani. Tra i marchi che stanno ottenendo i migliori risultati dalle strategie di penetrazione ci sarebbero Dior, Fendi, Prada, Moncler, Louis Vuitton e Cartier. Al contrario, risultano ancora poco penetrati Gucci, Bulgari, Ferragamo, Tod’s e Roger Vivier. Dal canto suo, Bain & Company mette in guardia rispetto all’uso di metriche pro capite per il consumo di articoli di alta gamma. “Il lusso per definizione non è un prodotto di massa”, ha dichiarato sempre alla Cnbc, Weiwei Xing, partner di Bain & Co. “Suggerirei di ripartire proporzionalmente la spesa totale per il lusso in base al numero di persone appartenenti alla classe media e alta, che sarebbe una misura più significativa per riflettere l’atteggiamento e il consumo nei confronti del lusso”, ha aggiunto Xing, spiegando che questo ridurrebbe il divario. Tuttavia, la domanda di beni di lusso è stata sostenuta anche dall’aumento della ricchezza: i dati della Bank of Korea mostrano infatti che nel 2021 (ultimo dato disponibile) il patrimonio netto delle famiglie del Paese è aumentato dell’11 per cento.
MADE IN ITALY IN COREA
Le elaborazioni della sede di Seoul dell’Agenzia Ice (la cui fonte sono i dati delle dogane coreane) dicono che nel 2022 l’export italiano verso la Corea del Sud è aumentato del 4,4% rispetto al 2021 (il +4,4% è riferito a valori in dollari; la stessa variazione sale al +17,6% in euro). Il Paese asiatico è oggi al sedicesimo posto tra i clienti del made in Italy. Restringendo il campo a settori specifici, nei primi otto mesi del 2022 le esportazioni del Tessile, Moda e Accessorio (TMA, composto da calzaturiero, concia, occhialeria, oreficeria-argenteria-gioielleria, pelletteria, pellicceria e tessile-abbigliamento) hanno fatto segnare un incremento del 21,1% in valore, in linea con le dinamiche registrate a consuntivo 2021 (+23,5 per cento). Stando alle analisi del Centro Studi di Confindustria Moda su dati Istat, sono stati venduti all’estero tra gennaio e agosto 2022 beni per 51,8 miliardi di euro (cifra superiore del 15,2% anche rispetto ai livelli 2019 pre-Covid). Nel periodo in oggetto, la Corea del Sud è l’ottava piazza di riferimento per il TMA italiano, con una quota del 3,5 per cento: l’export verso questo mercato ha superato gli 1,8 miliardi di euro, in aumento di quasi il 34% sullo stesso periodo del 2021 e a +53,6% in un confronto con i primi otto mesi del 2019.
Dall’1 al 3 febbraio scorsi, negli spazi di S-factory a Seoul, si è svolta la manifestazione Italian Fashion Days in Korea, nata per mettere a sistema le esperienze di Ente Moda Italia – presente in Corea dal 2012 – Associazione italiana pellicceria, Assocalzaturifici e Sistema Moda Italia. La fiera, realizzata con il supporto di Ice, ha acceso i riflettori sulle collezioni di 71 brand italiani, registrando oltre mille visitatori. “Siamo in Corea dal 2012 e quindi siamo stati precursori di questa nuova fase di sviluppo del Paese – ha raccontato a Pambianco Magazine Alberto Scaccioni, AD di Ente Moda Italia -. C’è stata un’accelerazione in termini di qualità di pubblico che incontriamo a Seoul. In questo mercato c’è una bassa propensione al risparmio personale e questo crea presupposti interessanti per i beni di consumo e per il lusso. Inoltre, in Corea, a differenza della Cina, c’è una struttura distributiva che facilità i brand stranieri, anche piccoli e medi, nei multibrand”. “La fiera Italian Fashion Days – ha aggiunto il manager – chiude il cerchio rispetto alle manifestazioni italiane con i suoi due appuntamenti all’anno (A/I a fine gennaio-inizio febbraio; P/E a luglio). La Corea non va vista come alternativa alla Cina, ma anzi può beneficiare della ripresa cinese, poiché molti cinesi comprano in Corea. Nel pre-pandemia, i big spender del Gigante Asiatico preferivano Seoul a Tokyo per il loro shopping fuori dai confini nazionali. Dal canto suo, la Corea non ha conosciuto fasi di lockdown, quindi ha intercettato molto rapidamente la ripartenza del post-Covid”.
I VERI PROTAGONISTI DEL FASHION MONTH
In Corea del Sud è la capitale Seoul a concentrare la capacità di acquisto. La città è inoltre epicentro della Korean Wave – così viene chiamata la diffusione globale della cultura di massa sudcoreana – e del K-pop, da anni fenomeno musicale in costante espansione. I volti di gruppi come Bts, BlackPink ed Enhypen, per citarne alcuni, hanno conquistato le campagne pubblicitarie delle griffe nelle ultime stagioni. Nel fashion month dedicato alle collezioni maschili A/I 2023-24 le star del K-pop hanno quasi sostituito i fashion influencer. Del resto questo mix di generi musicali, una vera e propria sottocultura che definisce stili e mode sociali, è oggi un’industria che vale intorno ai 5 miliardi di dollari (fonte Korea Creative Content Agency) e che la moda non può ignorare.
L’articolo è disponibile sul numero di marzo/aprile di Pambianco Magazine.