Per il made in Italy il momento storico è cruciale. C’è un rimbalzo evidente del lusso che ha saputo giocare la sua carta vincente nel periodo difficile del Covid ed è tornato nel 2021 ancora più forte del periodo pre-pandemia. E, tutto sommato, anche il 2022, nonostante i rincari e le tensioni internazionali, sta confermano la naturale tendenza anti-ciclica del segmento alto di gamma.
In questo quadro, l’Italia consolida la centralità della sua posizione di fornitore principale, quasi eslcusivo, per tutte le grandi realtà internazionale di fascia alta. Non esiste sulla carta né all’orizzonte una alternativa all’expertise e alla tradizione italiana nella manifattura per le grandi realtà internazionali, che, difatti, stanno giocando la loro partita nell’assicurarsi le aziende terziste per garantirsi una filiera verticale al loro interno.
È una notizia positiva per l’Italia? Tutto sommato si, perché mantenere la leadership nella produzione si traduce, in sostanza, nella valorizzazione di quella rete di piccole e medie aziende nazionali, che già lavorano quasi esclusivamente per i grandi nomi del lusso mondiale e che rappresentano buona parte del tessuto industriale italiano.
Per avere delle cifre a riguardo, basta guardare i risultati dell’analisi presentata nel corso dell’ultima edizione del Pambianco-PwC Fashion Summit dello scorso 9 novembre (di cui questo numero di Pambianco Magazine propone un analitico reportage) dove emerge come il 78% della produzione del lusso mondiale sia localizzato proprio in Italia con un impatto economico di oltre 17 miliardi di euro, di cui circa 15 miliardi a livello di manifattura e di 2,4 miliardi di materie prime.
Nonostante i numeri non indifferenti per il tessuto industriale italiano, resta comunque importante il divario con il totale del valore aggiunto generato dal lusso, che per oltre tre quarti del totale finisce a valle della filiera, e quindi spesso fuori dai confini nazionali. Significa che, pur tenendo stretta la preminenza sulla produzione e sulla filiera, in realtà abbiamo perso la partita globale del lusso e il divario con i colossi francesi sul fronte del giro d’affari come anche del numero dei marchi acquisiti sarà difficilmente colmabile.
Quel che l’Italia può fare è, a questo punto, lavorare di sponda per continuare a tutelare quella ricchezza impareggiabile e unica della filiera italiana, magari allargandola anche a altre categorie di prodotto.