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Greenpeace investiga su Shein: “Indumenti illegali a tutti gli effetti”

(ph. shein.com)

Greenpeace investiga su Shein: “Indumenti illegali a tutti gli effetti”

Di Redazione
24 Novembre 2022

Shein continua ad essere nel mirino delle associazioni ambientaliste. Il colosso cinese del fast fashion è stato oggetto di un’accurata indagine portata avanti da Greenpeace Germania. Nei giorni che precedono il Black Friday, l’ente ha acquistato alcuni capi del brand e li ha portati in laboratorio per verificarne la composizione.

“Abbiamo scoperto – spiega una nota l’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista – che alcuni di questi capi contengono non solo sostanze pericolose, quali ftalati, formaldeide e nichel, ma addirittura che queste sono presenti in quantità superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee. In pratica, questi prodotti sono da considerarsi illegali a tutti gli effetti”.

Nell’indagine condotta da Greenpeace Germania, su 47 prodotti Shein acquistati in Italia, Austria, Germania, Spagna e Svizzera, il 15% hanno fatto registrare, nelle analisi di laboratorio, quantità di sostanze chimiche pericolose superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee. In altri quindici prodotti (32%) le concentrazioni di queste sostanze si sono attestate a livelli preoccupanti.
“Chi paga il prezzo più alto della dipendenza chimica di Shein – specifica Greenpeace – sono i lavoratori che operano nelle filiere produttive del colosso cinese e sono esposti a seri rischi sanitari, ma anche le popolazioni che vivono in prossimità dei siti produttivi”.

I regolamenti europei sulla presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti importati stabiliscono severi limiti di concentrazione per un’ampia gamma di composti in capi di abbigliamento, accessori e scarpe. “Come più volte dimostrato dalla nostra campagna Detox, l’inquinamento prodotto non resta confinato nelle aree di produzione e, data la persistenza nell’ambiente di numerose sostanze impiegate, si estende a ogni angolo del globo. Inoltre, l’inquinamento degli abiti ostacola la nascita di una vera economia circolare del settore tessile, un problema di cui si parla molto anche in Italia”, continua Greenpeace.

“L’ultra-fast fashion porta agli estremi il fast fashion, già noto per gli enormi volumi di vestiti venduti e prodotti principalmente con fibre derivanti dal petrolio, la velocità con cui vengono immessi sul mercato e la quasi totale assenza di riciclo. Per via dei suoi impatti ambientali, questo modello è da considerarsi incompatibile con un futuro rispettoso del pianeta e dei suoi abitanti. L’ultra-fast fashion aggrava gli impatti del settore e accelera la catastrofe climatica e ambientale. Per questo, deve essere fermato subito”, avverte Greenpeace.

L’organizzazione chiede all’Unione Europea di applicare le leggi vigenti sulle sostanze chimiche pericolose, “un requisito fondamentale per lo sviluppo di una vera economia circolare, e di attivarsi per eliminare il fast fashion, come peraltro indicato nella strategia europea sul tessile”. Greenpeace ritiene inoltre necessario intervenire sullo sfruttamento della manodopera, sulle gravi conseguenze ambientali nelle fasi produttive e, infine, sulla gestione dei rifiuti a fine vita. “Tutti questi aspetti devono essere affrontati urgentemente con un trattato globale e un approccio simile a quello attualmente in discussione sulla plastica, che affronti finalmente la gigantesca impronta ecologica dei settori del tessile e della moda”, conclude il comunicato.

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