A livello italiano, il 2021 si chiude ancora sotto ai numeri del 2019, nonostante il segno più dell’export. Il fashion & luxury internazionale è ottimista sull’anno appena iniziato, con i grandi gruppi pronti ad allungare (ancora) il passo.
Il 2021 ha visto il sistema moda italiano rincorrere i risultati finanziari del 2019. È quanto emerso dalla conferenza stampa dedicata alla prossima edizione di Milano Moda Uomo (14-18 gennaio 2022), durante la quale il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana Carlo Capasa ha presentato le previsioni per la chiusura dei 12 mesi. L’evoluzione del commercio internazionale, l’ipotesi di raggiungimento della copertura vaccinale e le attese positive per la stagione delle vendite natalizie hanno confermato che nel 2021 il fatturato dell’industria italiana della moda dovrebbe attestarsi a 64 miliardi di euro, circa il 5% sotto il livello del 2019. A livello globale, la ripresa del fashion è attesa per il 2022, con vendite che supereranno tra il 3% e l’8% i livelli registrati nel 2019. La crescita, afferma The State of Fashion 2022, indagine annuale pubblicata da The Business of Fashion e McKinsey & Company, sarà più marcata in Cina e negli Stati Uniti, e più lenta in Europa.
L’INDUSTRIA DELLA MODA ITALIANA IN CIFRE
La moda italiana insieme ai settori correlati (occhialeria, gioielleria e cosmesi) dovrebbe arrivare a fatturare 82,8 miliardi di euro, in salita del 20,5% rispetto ai 68,7 miliardi del 2020, e non più così distanti dai 90,2 miliardi del 2019, prima che l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 scuotesse l’economia mondiale. L’export dovrebbe raggiungere i 67,9 miliardi di euro (+21%), avvicinandosi ai 71,5 del 2019. Dopo il boom del primo semestre, i dati di export della moda italiana sono rimasti positivi anche nel terzo trimestre del 2021 con una crescita complessiva delle esportazioni del 17,1% (+18,2% verso i Paesi extra Unione Europea e +15,7% verso i Paesi dell’Unione Europea). Tra i principali mercati esteri, l’export della verso la Cina è cresciuto del 55,2%, verso gli Usa del 31,2%, verso la Russia del 20,6 per cento. L’import ha registrato nei 9 mesi una lieve riduzione (-2,7%) rispetto agli stessi mesi del 2020, in gran parte per le difficoltà logistiche e di approvvigionamento dai Paesi extra Ue (-13,2%) e in particolare dalla Cina e dai Paesi dell’Asia orientale (-29,9%), che hanno interessato anche gli approvvigionamenti dei marchi italiani. Mentre sono cresciute le importazioni dai Paesi Europei (+12,7 per cento).
IL QUADRO INTERNAZIONALE
Come detto in apertura, il 2022 sarà un anno fondamentale per il fashion a livello mondiale. Le previsioni sono infatti ottimistiche. Le vendite globali nel 2022 potrebbero superare del 3-8% i livelli del 2019, registrando un tasso di crescita più sostenuto di quanto previsto solo sei mesi fa. In Cina, le vendite del settore moda hanno già raggiunto i livelli pre-Covid in tutti i segmenti, soprattutto nel lusso, le cui vendite potrebbero crescere del 70-90% rispetto al 2019 entro la fine del 2021. “I problemi relativi alla supply chain rappresentano la principale fonte di preoccupazione per l’industria – si legge nella nota di McKinsey & Company – con l’87% dei manager intervistati che prevede un impatto negativo sui margini nel 2022 a causa delle interruzioni della catena di approvvigionamento. La combinazione di carenza di materie prime, colli di bottiglia nei trasporti e maggiori costi di spedizione farà gonfiare ulteriormente i costi di produzione e causerà squilibri tra domanda e offerta, provocando una crescita dei prezzi finali: il 67% dei manager intervistati si aspetta infatti di aumentare i prezzi retail nel 2022, con un incremento medio del 3%, mentre il 15% stima addirittura un rialzo dei prezzi di almeno il 10 per cento”. La sostenibilità si conferma in cima alla lista delle priorità, con il 60% delle aziende che sta aumentando gli investimenti in soluzioni di riciclo a circuito chiuso per ridurre l’impatto ambientale. Dal canto suo, il digitale rappresenta per il 32% degli intervistati la principale opportunità di crescita, seguita dalla sostenibilità (12 per cento).
Le stime globali non possono trascurare le specificità di posizionamento, dimensioni ed esposizione internazionale delle griffe, con i big player del lusso pronti ad accelerare ulteriormente rispetto a concorrenti meno strutturati. “Ci sono aziende – ha spiegato Luca Solca, senior research analyst, global luxury goods di Bernstein – che sono oggi 40% più grandi di quanto fossero nel 2019. Parliamo ad esempio di Hermès, Cartier, Louis Vuitton o Dior. Per queste aziende, la pandemia ha rappresentato una occasione per ‘allungare’ ulteriormente la distanza rispetto ai competitor. Ci sono invece aziende di dimensioni minori che rimangono sotto i livelli del 2019. La difficoltà maggiore è stata recuperare la domanda cinese in Cina, perché i cinesi nel mercato domestico pagano prezzi più elevati per i luxury goods, e quindi acquistano in prevalenza i marchi più forti, che percepiscono come indispensabili”. In questo senso, sebbene la ripresa sarà più modesta in Europa, non si può trascurare che 10 dei primi 20 “super winner” del settore moda e lusso hanno origini europee, quindi dal punto di vista dell’offerta il Vecchio Continente rimane una solida base per l’intera industria. “A livello internazionale – ha precisato Flavio Cereda, managing director luxury equity di Jefferies – il settore chiuderà il 2021 in linea con il 2019 grazie alla spinta del mercato americano. I rallentamenti della supply chain rappresenteranno un rischio per il lusso solo in caso di ulteriore aggravarsi della pandemia. Ad oggi non si ha un’idea chiara dell’evoluzione. Le dinamiche del 2022 saranno molto simili a quelle del 2021, con maggiori incertezze nella prima parte dell’anno. Quanto ai mercati, la performance 2022 dell’Europa dipenderà dalla consistenza dei flussi turistici, che ci aspettiamo molto deboli. Stati Uniti e Cina cresceranno a doppia cifra”.