Il mondo della moda sta lavorando intensamente sui temi della sostenibilità. In questi anni di trasformazioni dirompenti ed ineluttabili, dal cambiamento climatico alla pandemia, la moda italiana ha compreso la necessità di affrontare argomenti complessi, di ripensare scelte fatte da tempo, di alzare lo sguardo oltre le logiche di mercato verso un orizzonte di sfide comuni e a lungo termine.
Tra queste, la perdita di biodiversità inizia ad entrare con una certa frequenza nel discorso. Ovvero, il tema della diversità biologica di geni, specie ed ecosistemi da esclusivo appannaggio della comunità scientifica diventa pilastro delle strategie orientate al business.
La biodiversità è il fondamento della vita sulla Terra e determina la capacità del pianeta di reagire agli eventi ed alle sollecitazioni, come quelle causate dall’azione dell’uomo, in modo resiliente, finalizzato al raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio. Questa capacità di autoconservazione è messa a dura prova dall’incredibile numero di specie minacciate di estinzione (un milione), dall’enorme ampiezza degli ambienti “severamente alterati” dall’azione umana (75% delle terre emerse e 66% dei mari) e dall’accelerazione con cui tutto questo sta accadendo.
La biodiversità fornisce dei servizi essenziali all’essere umano ed alle sue attività, dunque a ogni settore economico: dall’approvvigionamento di acqua e terreni fertili, alla regolazione degli stessi per filtrare l’inquinamento ed evitare l’erosione, dalle prestazioni di supporto come la fotosintesi, il ciclo dell’acqua o il riciclo dei nutrienti, a servizi di tipo culturale come l’ispirazione e il benessere psicologico.
La moda beneficia dunque della biodiversità in molti modi, non solo la maggioranza delle materie prime utilizzate per produrre abiti e calzature ha origine da agricoltura e allevamento, ma è anche fondamentale per designer e sviluppatori poter avere accesso ad un’ampia varietà genetica di materiali e prodotti. Purtroppo, per anni la coltivazione del cotone, l’allevamento animale e i processi produttivi della filiera moda, come la tintura o la concia, sono stati un’inequivocabile fonte di stress per la biodiversità, contribuendo in varia misura alle 5 pressioni o driver di rischio: cambiamento dell’uso di terreni e mari (ad esempio la deforestazione), sovra-sfruttamento di risorse biologiche, inquinamento, introduzione di specie invasive e, ovviamente, cambiamento
climatico.
Cosa può fare un’azienda di moda per affrontare il tema? Dove serve dirottare le energie intellettuali e finanziarie che essa possiede?
Iniziative congiunte come il Fashion Pact, che vede la biodiversità come secondo pilastro d’azione, hanno permesso di accendere i riflettori sul tema e continuano ad avere un effetto di sprone verso le aziende della moda italiana ed internazionale, sempre più attive nel mappare i propri impatti, orientarsi verso pratiche di agricoltura rigenerativa e mettere in circolo risorse per diventare parte della soluzione.
Di recente Textile Exchange, non-profit che su scala globale associa le aziende del tessile verso una moda più sostenibile, ha pubblicato una prima ricerca dedicata, il Biodiversity Insights Report. A partire dai dati raccolti da 157 player del settore associati, il 51% delle aziende riconosce la perdita di biodiversità come un rischio prioritario e il 59% ha assunto impegni pubblici per affrontarla.
Il settore dunque riconosce l’importanza della salvaguardia della biodiversità e si sta interrogando su come monitorare l’effetto della propria produzione e distribuzione, in necessaria stretta collaborazione con la supply chain e coinvolgendo il consumatore, per costruire insieme un futuro più sostenibile. Quantis, società internazionale leader nella consulenza di sostenibilità ambientale, ha sviluppato di una nuova metodologia di quantificazione degli impatti provocati. Ecosystem AnalytiQs, a partire dalla metodologia LCA (Life Cycle assessment/valutazione del ciclo di vita), fornisce alle aziende metriche puntuali e significative perché possano scegliere di dare priorità alle azioni più efficaci e puntuali per minimizzare il loro impatto sulla biodiversità, coprendo l’intera catena del valore, con attenzione dedicata alle specificità territoriali. Le aziende possono utilizzare Ecosystem AnalytiQs per stabilire obiettivi science-based per operare entro i confini planetari, valorizzando cioè le scelte compiute in materia di cambiamento climatico, gestione dell’acqua, emissione di inquinanti, uso e sfruttamento del suolo.