“Convincere le aziende ad esserci”. Nelle scorse settimane, Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine, aveva commentato così la scelta di ri-aprire i battenti della Fortezza, per un’edizione della fiera fiorentina in presenza. In quella frase si leggono i timori che il sistema si faccia trovare impreparato di fronte all’opportunità di un rapido ritorno al reale.
La cautela delle aziende e dei brand si vede. Anche sul fronte sfilate, e non solo in Italia, sono diverse le passerelle che ancora non hanno deciso se riaccendere le luci. E gli inviti a fare sistema da parte dei vertici istituzionali evidenziano la necessità di dare una sveglia. Certo, non si può cancellare in poche settimane il lascito economico e psicologico di un anno passato in quarantena, ovvero i timori di contagio che assalgono le persone al ritorno in pubblico, e, ancor più, la consapevolezza che tale timore assale anche colui cui ti accingi a stringere la mano. Ma la sensazione è che questa cautela sia in qualche modo favorita da un effetto indesiderato dell’euforia digitale. Come a dire: tanto c’è l’online.
In Italia, più che in altri Paesi, l’avvento dell’e-commerce è stato un evento di rottura, in quanto il made in Italy presentava evidenti ritardi culturali e tecnologici. Ma, dopo la fase traumatica, il digitale ha evidenziato tutte le sue enormi potenzialità anche per il ramificato e frammentato made in Italy, che, di fatto, ha recuperato in pochi mesi i ritardi di alcuni anni.
Adesso si tratta di trovare il giusto equilibrio. Lo scenario è quello di un mercato che riparte al traino dei consumi domestici. Il che significa un evidente impatto per mercati come gli Usa e la Cina, dove le famiglie hanno già impresso accelerazioni importanti allo shopping. Ma un tale serbatoio di consumatori non esiste in Paesi come l’Italia, per cui lo sbocco internazionale rimane vitale.
Come mantenere, dunque, le performance verso l’export? Certo, il digitale sarà un volano importante, ma il Made in Italy non deve perdere di vista la necessità di valorizzare quelli che sono i suoi tratti distintivi e di unicità globali. L’elevata qualità dei prodotti (la materia), la storia artigianale che li accompagna (la tradizione), le connessioni culturali e sociali con il territorio (le relazioni), hanno bisogno di qualcosa che non si trova in un sito, in un social o in un videogioco. Hanno bisogno di riportare i piedi per terra. Che sia dietro le vetrine di un negozio, o in uno showroom o nei corridoi di una fiera. Ma per terra.