La sostenibilità non può fermarsi alle parole, o essere occasione per fare addirittura “greenwashing”, ma deve generare effetti reali ed essere implementata su larga scala. È questo, in sostanza, il pensiero di Claudio Marenzi, presidente di Confindustria Moda e di Herno, che, tramite un commento firmato Il Sole-24Ore, ha reso noti i suoi “tre punti fermi per rafforzare il Fashion Pact“. Secondo Marenzi, infatti, “solo tenendo bene a mente questi tre punti, vincolandoli a un patto, il Fashion Pact può acquistare un significato concreto e rappresentare il necessario cambiamento che tutti auspichiamo”.
Il primo punto afferma che “la sostenibilità ha un costo economico, e ciascuna impresa deve esserne ben conscia. E deve esserne ben conscio il consumatore finale che va istruito, educato ed erudito su cosa comporta il processo per essere sostenibili, perché, per forza e in misure differenti, egli stesso sarà parte dell’iter di ripartizione dei costi green”. Sia le aziende che i consumatori “devono conoscere come si arriva alla sostituzione di materiali, allo sviluppo e all’implementazione di processi produttivi più compatibili con l’ambiente, e del perché questi incidono in maniera rilevante sulla marginalità di un prodotto. Ovviamente, starà poi alla singola impresa decidere quale politica di pricing adottare e se assorbire in toto o in parte questi costi maggiori”.
Il secondo punto, invece, sottolinea “la necessità di una collaborazione sempre più stretta tra tutti gli attori della filiera. Un prodotto come quelli realizzati dalle nostre imprese ha una dimensione aspirazionale e iconica di forte valenza, che nasce dalla capacità e dal mix di competenze di tutti gli attori coinvolti nel processo, da quelli creativi a quelli industriali e produttivi”. “Da sempre – continua Marenzi – l’Italia ha mostrato grande attenzione ai temi ambientali: abbiamo una delle legislazioni più avanzate al mondo e molte imprese attuano comportamenti virtuosi; ne è testimonianza il numero di B Corp italiane, che è quello che cresce di più al mondo. L’Italia ha una filiera unica, integrata da monte a valle, che può fare la differenza in un’ottica di partnership dato che molte delle aziende firmatarie del Fashion Pact sono italiane o producono nel nostro Paese”.
In conclusione, il terzo punto considera “l’armonizzazione e il rispetto delle regole, degli standard e dei capitolati di acquisto a livello globale”. Secondo il patron di Herno, infatti, “diventa inutile fare uno sforzo collettivo in questa parte del mondo se poi le best practice di tutela ambientale vengono sistematicamente ignorate in altre aree geografiche di produzione, dove si privilegia ancora un vantaggio competitivo di costo e non di sostenibilità. È un preciso compito dei committenti occidentali controllare e pretendere il rispetto degli standard. La mancanza di assunzione di responsabilità da parte dei committenti può generare un impatto dannoso sia per le virtuose aziende industriali italiane, che si troverebbero a competere ad armi impari sul costo di produzione, sia per il sistema Paese che rischia di veder scomparire pezzi importanti della propria industria”.