I consumatori cinesi, finora non particolarmente sensibili al childrenswear, stanno approcciando con interesse i prodotti di qualità per i loro bambini
La Cina si candida a Terra Promessa anche per il kidswear. Secondo un recente studio realizzato da Euromonitor International, oltre Muraglia i segmenti baby e pre-scolare hanno registrato i valori di crescita più dinamici dell’abbigliamento nel 2018, con vendite in aumento del 20%, nell’ambito di un fenomeno indicato come ‘Premiumisation’. “Il childrenswear è aumentato a doppia cifra lo scorso anno – si legge in una nota della società di ricerca – grazie alla ripresa economica durante l’anno. La crescente fiducia nell’economia ha incoraggiato i genitori ad acquistare prodotti di fascia alta per i propri figli. Anche la demografia locale ha favorito le vendite grazie all’ampio gruppo di coppie sposate in attesa, molte delle quali provenienti dall’alto tasso di nascite durante gli anni 80 e 90”. Insomma, c’è anche un fattore sociologico per la ‘rinascita’ del bimbo cinese. Va considerato, inoltre, che il Paese ha convissuto con la ‘politica del figlio unico’ fino al 2015, quando è stata abrogata una legge mantenuta per decenni, per quanto con rigore decrescente. La sua scomparsa ha contribuito a ‘liberare’ un mercato. Questa serie di variabili sta aiutando il settore junior. “Parallelamente si assiste all’aumento della promozione dell’abbigliamento per i più piccoli; i genitori sono maggiormente disposti a scegliere marchi premium e anche luxury, in linea con l’aumento dei reddito e la ricerca di uno stile più individuale che caratterizza mamme e papà nati dopo gli anni 80”.
ARRIVA IL MADE IN ITALY
Questo boom in taglie mini sta attirando l’interesse delle griffe, alla ricerca di strategie specifiche per fare breccia nel Paese della Grande Muraglia. “Guardiamo come tutti, da tempo, con grande interesse a questo mercato. Un mercato complesso e difficile, in cui siamo presenti con 14 negozi diretti”, hanno dichiarato da Monnalisa, per cui il Paese asiatico vale il 6% dei ricavi. “Ad oggi per Il Gufo il mercato cinese rappresenta una sfida e al contempo un obiettivo di crescita. Grazie ad un partner di grande esperienza e affidabilità, la presenza si sta consolidando all’interno di corner e multimarca concentrati nelle aree nevralgiche del Paese come Beijing, Suzhou, Zhejiang, Wuhan e Tianjin, oltre chiaramente a una presenza a Hong Kong”, ha spiegato a Pambianco Magazine l’AD del brand Alessandra Chiavelli, specificando che per ora l’incidenza delle vendite nel mercato cinese sul fatturato export de Il Gufo non ha ancora raggiunto livelli significativi, dal momento che l’investimento nella potenza asiatica è solo agli inizi. “Grazie alla chiusura di un accordo con un partner locale, leader nel settore bambino, stiamo registrando una crescita sana e costante, che ci porterà ad incrementare progressivamente la presenza del brand nel mercato, nei prossimi tre anni”, ha spiegato Chiavelli. I luxury brand nostrani non producono in Cina se non, come nel caso di Monnalisa, per alcune categorie merceologiche specifiche come il denim e i capispalla più tecnici, con fornitori spesso comuni ai noti brand internazionali.
OBIETTIVO RETAIL
Mettendo da parte la produzione, le griffe nostrane si concentrano sull’espansione retail: “Know-how congiunto, design italiano e produzioni locali – ha affermato Niccolò Monicelli, AD di Simonetta – potrebbero essere le chiavi di volta per aprire in modo efficiente un mercato che diversamente ci vede tutti quanti presenti in maniera superficiale nei department store delle grandi metropoli”. Da Monnalisa invece la chiave di svolta sembra un’altra: “L’unico modo per presidiare il mercato è con negozi diretti. Speriamo in semplificazioni doganali e commerciali. Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti: i consumatori cinesi, finora non particolarmente sensibili al childrenswear, stanno approcciando con interesse i prodotti di qualità per i loro bambini, al di là delle solite griffe. Sembrano molto sensibili anche al costumer journey che stiamo offrendo nei nostri store, rigorosamente a misura di bambino: più engaging, più entertaining e più educational”. “Il Gufo – ha spiegato Chiavelli – con i ritmi più lenti di un marchio understated come il nostro, in un mercato ancora assolutamente brand-oriented, si sta preparando nel migliore dei modi, cercando sempre più il contatto con la cultura locale dei partner per comprendere meglio le dinamiche tutt’altro che ovvie di un mercato profondamente diverso dal nostro”. Sul fronte della comunicazione tecnologica, le maison italiane sembrano orientate ad essere quanto più al passo coi tempi: “In Cina – hanno chiarito in Monnalisa – comunichiamo utilizzando l’applicazione di messaggistica WeChat e con accordi con key opinion leader che generano engagement altissimi. Siamo inoltre sulle principali piattaforme e-commerce, da Secoo a Shangpin”. “Proprio di recente – ha concluso Chiavelli – abbiamo aperto i nostri account social in Cina: Weibo, WeChat e anche un mini sito in lingua locale. Questa scelta si iscrive in una strategia di approccio consapevole e graduale al mercato, così com’è nel dna del brand. I dati dei primi mesi ci stanno d’altro canto confortando: l’interazione del pubblico digitale con i nostri profili è molto positiva e, in un’ottica di omnicanalità e di comunicazione attraverso i canali più utilizzati, sarà di sicuro beneficio per la brand awareness nel mercato”.