L’esperimento Raf Simons è costato caro. Il fallimentare riposizionamento luxury di Calvin Klein ha avuto effetti economici negativi per il marchio di Pvh. Secondo quanto riportato da Wwd il gruppo americano dovrà spendere circa 240 milioni di dollari, 50 in più rispetto al previsto, per riparare i danni del rebranding del marchio tentato con la direzione creativa allo stilista belga, al timone dall’estate 2016 allo scorso dicembre. Pvh dovrà mettere sul tavolo 170,7 milioni di dollari cui si aggiungono i circa 70 ml spesi per 205W39Nyc, linea fortemente voluta da Simons e rapidamente archiviata dopo il suo addio.
Pvh ha destinato circa 65, 7 milioni di dollari per liquidazioni e interruzioni di rapporto, 55 milioni per svalutazioni di asset, incluse la chiusura del famoso flagship in Madison Avenue a New York e la chiusura del business legato alle collezioni prêt-à-porter. Tra le varie voci compaiono anche 45 milioni per interruzione anticipata di affitti e contratti, 5 milioni legati alla svalutazione dei resti di magazzino. Circa 41 milioni, riporta sempre Wwd, sono già stati spesi nel quarto trimestre.
Calvin Klein si appresta ad allontanare 50 impiegati dagli uffici di New York e altrettanti da quelli della sede milanese in viale Umbria. Michelle Kessler-Sanders, presidente delle linee 205W39NYC e Calvin Klein by Appointment (riservata alle creazione custom made), lascerà l’incarico nei prossimi mesi.
Nel 2018 Pvh ha registrato ricavi per 9,66 miliardi di dollari (circa 8,5 miliardi di euro), con una crescita dell’8% sull’anno precedente. Ad influire sul risultato, soprattutto il brand Tommy Hilfiger che, nei 12 mesi chiusi il 3 febbraio, ha totalizzato ricavi per 4,34 miliardi di dollari (contro i 3,89 dello scorso anno). Anche Calvin Klein ha chiuso l’anno in crescita, con vendite a quota 3,73 miliardi (3,46 nel 2017).