La moda non ama chiamarla Intelligenza Artificiale. Ma, al tempo stesso, la moda rappresenta un campo da gioco ideale per le sue applicazioni, lungo la filiera e fino all’ingaggio del cliente. Marco Bellinzona, Analytics & cognitive manager di Dedagroup, spiega a Pambianco Magazine cosa significhi, oggi, parlare di “intelligenza artificiale, anzi, intelligenza cognitiva o aumentata, come preferisce definirla il settore fashion, per il quale il termine ‘artificiale’ stona col proprio patrimonio di umanità e artigianalità”. Gli sviluppi futuri? Prepariamoci a un mondo fatto di robot che imparano, studiano e, dietro il bancone, ci venderanno la moda.
Intelligenza Artificiale, o meglio, aumentata: dove ci troviamo?
Si tratta di una serie di tecnologie che aiutano, supportano e talvolta sostituiscono l’essere umano principalmente nello svolgere compiti semplici. A oggi, l’IA si concretizza in soluzioni molto note dal punto di vista consumer, si pensi alla domotica o alle applicazioni nelle automobili, e cominciano a esserci soluzioni anche in ambito business. Alla base di queste applicazioni ci sono algoritmi, per lo più statistici, che aiutano in operazioni che possono essere sostituite da un sistema robotizzato. La più diffusa, che molti conoscono è il chatbot (una chat con un robot, ndr): io pongo domande e dall’altra parte c’è un sistema intelligente di risposte, capace di funzionare 24 ore su 24, di gestire ‘n’ chiamate contemporanee, di agire in tempi rapidissimi.
Come mai questa esplosione di IA. Siamo all’invasione dei robot?
In realtà, il concetto di IA parte nel 1950, quando Alan Touring definì il criterio (noto come ‘Turing Test’) secondo cui quando la macchina riesce a ingannare l’essere umano, allora la macchina è dotata di IA. Questo può accadere, ma ancora su un ambito molto specifico e verticale. Ricordiamoci che il primo chatbot è del 1961, e già negli anni 90 l’AI era molto in voga. Pensiamo a “2001 odissea nello spazio” negli anni 60 e “Blade Runner” negli anni 80: c’erano le intuizioni, ma non c’era il supporto tecnologico per la loro realizzazione. Il passaggio centrale è stata l’esplosione di dati degli ultimi dieci anni, moltiplicati dalle interazioni social, e le grandi capacità di calcolo messe a disposizione dal mondo cloud. Ora molte di quelle intuizioni sono realizzabili.
Dunque, uno strumento potentissimo. Come si integra con la moda?
IA è un insieme di tecnologie che, grazie alla possibilità di immagazzinare ed elaborare enormi volumi di dati, per mezzo di algoritmi statistici, è in grado di fornire risposte a domande su molteplici questioni strategiche. Nella moda le applicazioni possono essere tante. Informazioni sugli ordini, sul processo produttivo, sul magazzino e, in via crescente, sui trend, vengono dati in gestione al sistema di IA che è in grado di destrutturare i dati e tradurli in linguaggio umano.
Quale è la frontiera?
Una nuova frontiera, che stiamo già proponendo ai clienti, è senza dubbio la visual recognition, ossia un sistema in grado di visionare le collezioni, studiarle e trarne informazioni su trend, materiali, tessuti, risultati di vendita, apprezzamento del mercato. In modo automatico vengono monitorati profili social, blog, i siti più autorevoli (pubblici o di soggetti specifici) e in modo intelligente vengono rilevate milioni di immagini e messe a disposizione del sistema che fa deep learning e che trova pattern (elementi comuni), per poi rielaborarli restituendo informazioni utili a interpretare le tendenze di mercato e supportare il momento creativo degli stilisti. Sono inoltre stati fatti tentativi di “creazione”, ma qui il tema si amplia ed è altamente probabile che non troverà accoglienza in un settore, quello della moda, in cui il momento creativo è caratteristica propria dello stilista.
Il cliente è ancora più al centro di tutto?
Si potrebbe dire che tutto ruota attorno al cliente: la maggior parte delle informazioni che le soluzioni di IA utilizzano arrivano dai clienti o sono prodotte per il cliente. Per questo i canali di ingaggio e i processi di raccolta delle informazioni vanno curati con attenzione. Ma il cliente di una soluzione di IA non è solo il cliente dell’azienda, è anche il dipendente, il collaboratore o il fornitore che possono trarne beneficio come in un ecosistema in cui tutto può essere messo a fattor comune.
C’è un potenziale anche nei negozi?
Qui la frontiera sono, ad esempio, i robot. L’addetto di negozio ha un ruolo centrale nella relazione con il cliente e nel supporto verso l’acquisto. Oggi le tecnologie a disposizione possono venire in aiuto anche sul punto vendita, nel quale il robot può esercitare le stesse funzioni, entrando in connessione con tutti i sistemi dell’azienda. Sa comprendere le caratteristiche del cliente (la tipologia) e può formulare proposte mirate in base alle informazioni in suo possesso. In Italia ancora nessuno ha fatto questo passo. I primi che li adotteranno saranno di per sé motivo di interesse, creando traffico sul punto vendita. Noi siamo già pronti a implementare soluzioni di questo tipo.
Quanto costa un robot?
Non si tratta di tecnologie eccessivamente costose, il robot in sé può costare circa 20mila euro. Ma il costo finale di questo tipo di soluzioni dipende dalla complessità del sistema cui deve connettersi e dalle funzioni, e quindi informazioni che deve gestire: più sono evolute maggiore è l’impegno, anche economico, del progetto.
Non si può immaginare che faccia tutto.
Ecco, questo è il rischio maggiore: applicare l’Intelligenza Artificiale nel contesto sbagliato. Non pensiamo che con l’IA si possa risolvere ogni cosa. Le applicazioni per essere efficaci devono essere molto verticali e specifiche: le possiamo immaginare come una persona espertissima nel fare bene e ripetitivamente una certa azione o un certo processo mentale, ma che non sappia fare null’altro di diverso da ciò su cui è stato addestrato.
di Luca Testoni