L’Italia della moda e del lusso è famosa nel mondo per il lavoro qualitativo di livello. Qualità che trova riscontro non solo nelle mani di abili fornitori, ma anche in un sistema di regole e certificazioni che legittimano tanto il prodotto finito quanto l’intero sistema alle spalle.
Se il New York Times provoca, l’Italia della filiera risponde. E lo fa a tono. Lo scorso settembre la celebre testata ha pubblicato un’inchiesta riguardante il lavoro nero in Italia, e in particolare in Puglia, dove, secondo il giornale, ci sarebbero frotte di lavoratrici retribuite una miseria per realizzare i capi delle grandi griffe. Capi che, in negozio, raggiungono spesso prezzi a tre zeri. Ma l’Italia della moda e del lusso è davvero basata su un sistema così deplorevole e poco rispettoso dei fornitori che ne consentono l’esistenza? La risposta è no, e arriva da parte di chi, di questo sistema, è parte integrante. “Il controllo della filiera italiana non è un bluff, bensì è un’azione reale e già in essere da tempo”, ha raccontato a Pambianco Magazine Davide Bulgarelli, titolare della Bulgarelli Production che, da oltre 30 anni, affianca il cliente nella ricerca, sviluppo e produzione di cartellini ed etichette, embellishment e prodotti innovativi esclusivi. “Noi, per esempio, riceviamo periodicamente audit da parte di enti delegati dai nostri clienti del lusso per verificare che i nostri processi produttivi siano in linea con i loro altissimi standard qualitativi”. La Bulgarelli Production, proprio al fine di porsi come player di fiducia all’interno della filiera, ha di recente conquistato la certificazione SA 8000 (tecnicamente SA8000:2014, dove SA sta per Social Accountability), volta ad attestare alcuni aspetti della gestione aziendale attinenti alla responsabilità sociale d’impresa, quali il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro. Oltre a questa, l’azienda conta la certificazione ISO9001 (che attesta la conformità dei processi operativi aziendali agli standard internazionali riferiti alla gestione della qualità) e la FSC (che si riferisce alla corretta gestione ambientale, sociale ed economica di foreste e piantagioni). “Noi ora disponiamo di tutte e tre le certificazioni, e siamo gli unici nell’area del labeling ad averle. E i clienti, soprattutto i grandi player del lusso, da Lvmh, a Kering fino a Prada, ce le richiedono sempre, in quanto conditio sine qua non di un rapporto lavorativo proficuo e trasparente”, ha concluso il manager. Le imprese italiane, pertanto, anche grazie alle certificazioni, dimostrano che la sostenibilità della filiera non è un’utopia, ma bensì è già un dato di fatto.