L’universo della moda e del lusso ritrova splendore, ha consolidato il passo di crescita e chiuderà il 2018 con un incremento dell’8% a livello globale. Ma la redditività non cresce con altrettanta spinta. E, in Italia, l’universo si presenta con almeno due galassie sempre più distanti per posizionamento e traiettoria, con quella del lusso capace di ridisegnarsi profondamente all’insegna della distinzione e della qualità, e quella del non lusso ancora allineata sui modelli di business precedenti. Sono le indicazioni emerse ieri in occasione del 23esimo Summit Pambianco-Deutsche Bank, dove le ricerche e i protagonisti delle interviste hanno confermato la fase di profondo rinnovo che sta vivendo il settore.
A esaminare il ‘doppio’ passo dello scenario made in Italy è stata l’analisi presentata da David Pambianco, CEO di Pambianco Strategie d’Impresa, dal titolo (uguale a quello del Summit) ‘Dalla manifattura allo store del futuro’. La ricerca ha preso in esame i diversi livelli della catena del prodotto, partendo da un esame dei bilanci delle 110 maggiori imprese italiane, alle quali è stato poi sottoposto un questionario, ottenendo “una buona redemption di oltre il 30%”.
Tra gli aspetti chiave della ricerca, il fatto che le aziende del lusso abbiano registrato un tasso di crescita del 6,4% nel triennio 2014-17 contro il 4,8% delle non lusso (fascia bassa, media e premium), e che, soprattutto, le prime abbiano una dimensione media di 624 milioni di euro contro i 257 delle seconde (proporzione simile sull’ebitda margin: 22% contro il 13%). “Questo – ha commentato Pambianco – indica che in Italia fare lusso è più facile”.
E, non a caso, si assiste a un fenomeno strutturale importante in termini di reshoring: “La quota delle aziende del lusso che producono in Italia – ha aggiunto il manager – raggiunge l’85% e sta crescendo. Viceversa, si ferma al 13% quella delle aziende non lusso, ed è in discesa nel 2017”. E lo squilibrio si registra anche in termini di destinazione delle esportazioni, che si ‘fermano’ in Italia ed Europa per il 38% delle aziende lusso, e addirittura per il 91% delle non lusso, le quali, dunque, evidenziano notevole difficoltà nell’affrontare i mercati asiatici.
Altro fattore di distanza tra i due segmenti riguarda i canali di distribuzione, sia quelli offline, dove si conferma la prevalenza degli store diretti del lusso, sia nell’online, dove si registra un fenomeno importante. Mentre le aziende top si rivolgono nel 50% dei casi anche a piattaforme terze, per le aziende non lusso questa strada praticamente non esiste: si affidano a partner solo nel 4% dei casi, segno che, “le piattaforme di ecommerce vogliono solo il lusso”.
Lo squilibrio, infine, si traduce nell’allocazione degli investimenti di comunicazione. Mentre, negli ultimi tre anni, le griffe hanno spostato in modo tangibile i budget dall’adv tradizionale a quella online o social, le aziende non lusso si stanno muovendo con molta meno rapidità. “Questo significa che il lusso sta cercando di rivolgersi ai Millennials – ha concluso Pambianco – mentre le aziende del non lusso faticano ad affrontare lo shift”.
La complessità della fase di profondo cambiamento è stata evidenziata anche dalla ricerca di Francesca Di Pasquantonio, Head of Global Luxury Research, Deutsche Bank, che ha esordito annunciando che “il 2018 sarà un anno di forte espansione, si chiuderà con un +8% a seguito di rimbalzo iniziato nel 2017”. Però, ha precisato, “il ritorno sul capitale investito è migliorato poco negli ultimi anni, a fronte di un netto cambiamento del modello”. Segno che il modello richiede sforzi aggiuntivi, che spostano la redditività . “Si accorcia la distanza tra brand e consumatore – ha spiegato l’analista – perciò a valle si sono moltiplicati i driver. È qui che si sposta la creazione del valore e dove sono richiesti più investimenti”. Per contro, ha proseguito, “prodotto e creatività restano cruciali, e si è rafforzata l’ossessione per la qualità, che diventa quasi una commodity, cioè imprescindibile”. Insomma, “costa di più fare business”. Così si spiega la redditività meno esplosiva. Così si amplificano le differenze tra grandi e piccoli player del settore.
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