Parajumpers corre nel 2018. Il brand di capispalla, nato del 2006 dall’incontro tra l’azienda Ape e Massimo Rossetti, designer del brand, ha infatti chiuso l’anno con un giro d’affari di 62 milioni di euro, in crescita del 13% sull’anno precedente. Attualmente il brand è distribuito tramite il canale wholesale, offline e online, e con la propria piattaforma e-commerce, che incide per il 7% sul giro d’affari del marchio. “Abbiamo una distribuzione molto alta, infatti siamo presenti in tutti i negozi migliori, come Rinascente ed Excelsior in Italia, unitamente a parecchi punti vendita di ricerca”, ha spiegato a Pambianconews Cristina Paulon, head of marketing and sales dell’azienda. Per ora, l’idea di aprire negozi di proprietà “rimane un obiettivo, non abbiamo ancora definito quando ma prima o poi ci piacerebbe avere un punto vendita”.
L’estero, in particolare, conta più del 95% sul giro d’affari del brand, con particolare incidenza di Nord Europa e Germania. Altri mercati strategici, in cui il brand “può ancora crescere molto”, sono il Nord America, Giappone e Corea. L’Italia, nonostante sia il Paese d’origine di Parajumpers, conta ancora relativamente poco, e ciò è “dovuto al fatto che ha avuto uno sviluppo più tardivo rispetto agli altri paesi”.
Parajumpers non conta però solo sulla creatività di Rossetti – che ha sviluppato l’idea del brand grazie all’incontro con un membro del servizio 210th Rescue Squadron, unità dell’Alaska Air National Guard -, ma anche su influssi creativi esterni. “Cerchiamo sempre di innovare, anche attraverso collaborazioni che mettiamo in atto con quelli che noi chiamiamo ‘guest designer’, i quali aggiungono al nostro prodotto qualcosa che fa parte del loro background. Ora, per esempio, stiamo lavorando, tra gli altri, con l’italiano Leonardo Fasolo“, ha concluso la manager.