Il problema della sostenibilità della supply chain dell’industria della moda entra nel parlamento inglese. A discuterne è l’Environmental Audit Committee, commissione che fa capo, appunto, al sistema parlamentare d’Oltremanica. Il Committee sta analizzando i risultati di un sondaggio che ha chiesto ai principali retailer del Paese di mettere nero su bianco i risultati delle loro iniziative in tema di equità delle condizioni di lavoro e riduzione dell’impatto ambientale.
La Gran Bretagna dovrebbe spingere i brand della moda a produrre vestiti che inquinano meno e che siano facili da riciclare, in modo da ridurre l’impatto ambientale dell’intero settore. Questa in sintesi l’opinione degli esperti coinvolti dalla commissione, che avrebbero inoltre rilevato le connessioni dirette tra la produzione di moda a basso costo e il lavoro sottopagato, o addirittura lo sfruttamento. D’altro canto, “i consumatori inglesi sono sempre più entusiasti dei brand di moda che si impegnano nei confronti dei lavoratori e dell’ambiente”, ha commentato Mark Summer, professore di corsi di moda e sostenibilità dell’università di Leeds.
All’ordine del giorno, per le aziende del fashion system, l’adozione di soluzioni di tracciabilità, come la blockchain, e parametri più rigidi per ridurre i livelli di inquinamento. Tra le proposte avanzate, quella di Alan Wheeler, numero uno della Textile Recycling Association, che ha spiegato come le aziende che evidenzino progressi nella creazione di capi riciclabili dovrebbero beneficiare di sgravi fiscali.
All’inizio del mese, contestualmente al via dell’inchiesta sulla sostenibilità, l’Environmental Audit Committee ha diffuso i dati inclusi in ricerche di esperti del settore e “fashion innovators”, secondo cui nel Regno Unito il consumo di vestiti sarebbe superiore rispetto agli altri Paesi europei (si parla di circa 26,7 chilogrammi pro capite all’anno, contro i 16,7 chilogrammi della Germania e i 16 chilogrammi della Danimarca, rispettivamente al secondo e terzo posto). Da qui la necessità di coinvolgere insegne come Marks and Spencer, Primark, Tesco, JD Sports, Next e il gruppo Arcadia e valutarne le strategie. Non è escluso che alcuni debbano rendere conto della loro situazione in Parlamento.