Continuano a crescere le varianti e i canali di vendita, ma le quantità si riducono. E i volumi non possono essere supportati dai nuovi brand perché a vincere, alla fine, sono sempre i modelli più classici.
Si moltiplicano le varianti e i canali di vendita, ma le quantità si riducono. E i volumi non possono essere supportati dai nuovi brand perché, a vincere, alla fine, è sempre il classico. Il mercato degli orologi di lusso fa oggi i conti con dinamiche talvolta contrapposte, in una fase in cui la ripresa è trainata da una revisione dei modelli di business, incluso uno sviluppo online che ancora deve esprimere appieno le sue potenzialità. A entrare nel vivo di questi temi con Pambianco Magazine sono i principali rivenditori italiani che confermano il “successo che non conosce crisi” dei marchi storici e le difficoltà, per i nuovi produttori, di guadagnare la fiducia di consumatori, disposti a spendere per modelli di qualità, garantiti e riconoscibili. “Orologi – ha raccontato Umberto Verga, presidente di Orologerie Luigi Verga – in grado di mantenere il loro valore anche nell’eventualità di una successiva vendita da usati. In questo, le maison storiche hanno un vantaggio enorme”. Il numero uno di Verga ha precisato come la moltiplicazione dell’offerta si possa inquadrare non tanto come nascita di nuovi brand best seller, ma come moltiplicazione dei canali di vendita, con un graduale approccio all’e-commerce. “Anche in questa dinamica – ha continuato Verga – il ruolo di rivenditori storici come noi resta centrale, per la credibilità e il rapporto di fiducia che abbiamo con i clienti”.
MENO OROLOGI SUL MERCATO
Per contro, l’eventuale successo di vendite da parte di nuovi marchi è legato a proposte particolarmente innovative (non è un caso che per Baume, nuovo arrivato di casa Richemont, sia stato enfatizzato l’uso di soli “materiali sostenibili”) o a modelli dal design accattivante, ma è comuque inquadrabile come ‘fenomeno stagionale’. “Non è raro che nascano dei nuovi brand di orologieria – ha raccontato Stefano Amirante, merchandising e purchasing manager di Rocca 1794 -, soprattutto provenienti dall’area asiatica. Si tratta però di player entry-price rispetto al lusso, o di proposte di target medio-alto che faticano a imporsi con continuità”. Il manager ha evidenziato come al centro delle strategie delle grandi aziende di orologeria ci sia la necessità di ricalibrare i quantitativi di produzione e di migliorare la gestione degli stock: “La moltiplicazione dell’offerta oggi è una maggiore profondità di gamma, con modellistiche nuove e un avanzamento costante della qualità. Questo però va di pari passo con una contrazione del numero di prodotti immessi sul mercato”, ha dichiarato Amirante. Emblematico l’annuncio, lo scorso maggio, del gruppo Richemont, che, contestualmente alla pubblicazione dei risultati dell’esercizio fiscale al 31 marzo 2018, ha avviato un programma di buyback da 203 milioni di euro degli stock in eccesso. Secondo il Guardian, il colosso svizzero, controllante di brand come Cartier, Van Cleef & Arpels e Piaget, negli ultimi due anni ha distrutto orologi invenduti per circa 500 milioni di euro, determinato a evitarne la svalutazione e, soprattutto, l’approdo sul mercato grigio.
MODELLO CHE VINCE NON SI CAMBIA
Quanto alle novità presentate nelle fiere di settore, i marchi più noti, spiegano gli intervistati, introducono nuovi modelli, nuove complicazioni, nuovi materiali, ma mai all’insegna degli stravolgimenti totali. In questo senso il lusso si evolve, ma non si rivoluziona. “Storicamente – ha dichiarato Serena Pozzolini Gobbi, CEO di Gobbi 1842 – i modelli più venduti sono più o meno gli stessi, nonostante i marchi introducano sul mercato nuove proposte. Spesso, inoltre, molti clienti identificano i brand con un unico e ben preciso orologio”. A volte è semplicemente la non disponibilità dei modelli di punta a dirottare la clientela su varianti differenti, motivo per cui le aziende devono offrire una gamma più ampia. “Questo – ha concluso Pozzolini Gobbi – è legato anche al numero di orologi prodotti che, su oggetti di un certo livello, non raggiungerà mai una produzione massiva”. Laddove si individuano dei trend d’acquisto legati al design, questi sono talvolta collegabili alle diverse nazionalità dei clienti: “Nello specifico – ha spiegato Chiara Pisa, amministratore delegato di Pisa Orologeria – la clientela italiana ci dimostra quotidianamente la propria inclinazione verso i marchi e i modelli cosiddetti evergreen, in grado di restare attuali anche con il passare degli anni e che spesso anzi acquistano un fascino ancora maggiore. Allo stesso tempo, la clientela asiatica, soprattutto nella fascia tra i 35 e i 50 anni, ha aggiornato i propri gusti: storicamente erano orientati verso prodotti classici e formali, mentre oggi sono sempre più alla ricerca di un prodotto contemporaneo e giovanile, sia nelle linee sia nei materiali. Non a caso, gli orologi più richiesti sono quelli realizzati in acciaio o oro rosa”. Ad oggi circa il 70% della clientela di Pisa Orologeria è straniera, con una prevalenza di clienti cinesi, americani, arabi e un ritorno della clientela russa.
di Giulia Sciola