Le aziende hanno capito che costruire e veicolare contenuti editoriali è fidelizzante, purché siano di qualità. Per questo arruolano chi li fa per professione: i giornalisti.
Tra le rivoluzioni imposte da Internet, ci sono quella della moda e quella della editoria. Ma si cominciano a delineare i contorni anche di una ‘rivoluzione-trasversale’ che sta trasformando la moda in qualcosa di simile all’editoria. Il fenomeno è forse più avanti in altri comparti, ma anche nel fashion sono ormai affermati i concetti di native e di storytelling. Le aziende hanno compreso la forza del messaggio diretto, lanciato fino a oggi attraverso gli influencer. Oggi, la frontiera, in mancanza di regolamentazione, è dotarsi di proprie strutture (esterne o interne) per produrre e veicolare contenuti. Complice la progressiva perdita di efficacia della pubblicità tradizionale, le aziende cercano modi diversi per parlare di sé. E per interagire con l’utente finale. La sfida è mutuare il modello editoriale tradizionale: magazine, news, articoli multimediali da introdurre sul sito e sull’ecommerce, nonché sui social, caratterizzati tutti da un taglio giornalistico, perché è questo che fa la differenza. “Le aziende – spiega Stefania Boleso, consulente di marketing e comunicazione – sono passate da una logica ‘push’, basata sul bombardamento del consumatore con la pubblicità tradizionale e invasiva, a una logica ‘pull’, dove è l’utente stesso che decide di entrare in contatto con l’azienda, cliccando sui post e sui contenuti che questa produce perché ritenuti interessanti”. Per le aziende però non è uno scherzo costruire contenuti rilevanti, di qualità, con un taglio informativo, credibile, e non semplicemente pubblicitario. Ecco perché hanno pensato di ‘reclutare’ coloro che hanno le skills per farlo, ovvero i giornalisti. Nasce così una nuova frontiera dell’informazione, il brand journalism.
di Vanna Assumma