La Russia chiede ai big della moda accessibile di spostare parte della produzione nel Paese. Decathlon è il primo. Zara sembra pensarci. Benetton: “Nessun piano”.
Mass market made in Russia. Pur colpita dalla lunga svalutazione del rublo e da una profonda fase di recessione, la Russia affila le armi per una sfida: far risorgere la manifattura tessile nel Paese attirando commesse dai gruppi internazionali del fast fashion. Il ministero dell’Industria e del commercio ha avviato una serie di trattative con alcuni produttori stranieri del segmento di fascia media, proponendo di spostare una parte della produzione all’interno delle fabbriche russe. Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa nazionali Interfax e Prime, il governo avrebbe proposto a Decathlon, Zara, H&M, Benetton e al gigante del design Ikea di realizzare su commessa determinate produzioni in aziende russe o aprire direttamente la produzione in loco.
DECATHLON IN PRIMA LINEA
Decathlon, per ora, è l’unica che ha dimostrato un interesse concreto. Lo scorso 30 marzo, si è svolto un incontro tra il vice ministro dell’Industria Viktor Evtukhov, i rappresentanti della divisione locale del gruppo francese e a una serie di aziende russe. Il retailer, specializzato in abbigliamento e accessori sportivi, già conta su una produzione in loco di “2,7 milioni di pezzi che corrispondono al 10% dell’intera merce della nostra catena retail”, ha dichiarato Samuel Gelineau, costumer procurement manager di Decathlon International, nel comunicato ufficiale a conclusione del meeting. “Speriamo di aumentare questa quota – ha aggiunto – e siamo convinti di trovare dei fornitori affidabili in Russia per dare vita a partnership di lungo termine”. Ancora nulla di concreto, per ora, da parte degli altri marchi di moda citati dalle agenzie russe. Da Zara è trapelata ufficiosamente l’ipotesi di una collaborazione con le autorità russe, ma senza alcun commento ufficiale. Benetton Group ha invece smentito le trattative con Mosca per possibili nuovi insediamenti. “L’azienda comunica che al momento non ha e non prevede iniziative in tal senso”, ha fatto sapere in una nota ufficiale.

UNA MISURA ANTI-SVALUTAZIONE
Quali sarebbero gli incentivi a un trasloco della produzione in Russia? Dalle autorità non trapela nulla riguardo a eventuali incentivi o benefit per le aziende internazionali. Trasferire parte della manifattura in loco risulterebbe però conveniente per due motivi. Il primo è quello di liberarsi dall’incertezza rappresentata dalla volatilità del rublo che ha notevolmente scoraggiato l’import sul territorio: tutti i beni di consumo realizzati all’estero hanno subito notevoli incrementi di prezzo per effetto della svalutazione della divisa russa. L’ipotesi di spostare la produzione nella Federazione consentirebbe di controllare i costi di produzione. Senza contare, ed è il secondo elemento, che proprio la svalutazione della moneta nazionale renderebbe più conveniente rispetto al passato anche il costo del lavoro in Russia. Le misure da parte del governo russo in questa direzione sarebbero legate anche a eventi esterni. In particolare, ci sarebbero nuove quote di mercato liberate dalla Turchia, colpita dalle sanzioni economiche di Mosca dopo l’abbattimento a novembre di un jet russo al confine con la Siria.
UN MONDO DA RISCOPRIRE
“La produzione in Russia – spiega Anna Lebsak-Kleimans, alla guida del Fashion consulting group, una delle società di consulenza in Russia per il fashion retail e le aziende manifatturiere – può essere competitiva per le quantità piccole e medie. Sul territorio russo ci sono dei produttori forti nei settori dell’abito classico uomo, maglieria, capispalla e indumenti speciali, cioè dove si usano principalmente modelli di base”. L’ipotesi di portare in loco le grosse produzioni dei brand del fast fashion darebbe una svolta importante al settore manifatturiero locale, entrato in crisi dopo la recessione del 1998 e che da allora sta ancora aspettando una concreta forma di ripresa. In passato, “molti brand esteri – prosegue Lebsak-Kleimans – prevedevano di realizzare parte dei prodotti nel Paese. Levi’s, per esempio, si approggiava alle fabbriche della società Gloria Jeans. Poi i produttori hanno rinunciato perché il costo della manodopera è aumentato e, in generale, la produzione non era abbastanza efficace e flessibile”.
PROBLEMI INDUSTRIALI
Il problema di efficienza e flessibilità non sembra risolto. E pare sia una delle ragioni della titubanza di fronte all’invito russo. Secondo molti addetti al settore, l’industria tessile non sarebbe ancora pronta per gestire non solo i grandi ordinativi, ma anche le tempistiche, in genere piuttosto strette. “Nei prossimi quattro anni – conclude Lebsak-Kleimans – l’industria tessile in Russia rimarrà principalmente legata al settore medio e medio-basso, che rappresenta il 30-35% del mercato dell’abbigliamento”.
I PLAYER NAZIONALI
Se i gruppi internazionali stanno ancora studiando il dossier, alcune aziende russe hanno già riportato la produzione nel Paese. Il retailer finlandese Finn Flaire (ma di proprietà russa dagli inizi degli anni Duemila) ha già investito 12 milioni di rubli (circa 160mila euro al cambio attuale) per realizzare parte della collezione per il proprio marchio (tra i 40 e i 60mila pezzi all’anno) con l’obiettivo di spostare anche il resto. Lo stabilimento, operativo da maggio, dovrebbe consentire un risparmio sui costi stimato tra il 20 e il 25 per cento. Il marchio russo di calzature Zenden ha invece iniziato a costruire in Crimea, considerata una Zona economica speciale in Russia, un cluster industriale che si occuperà di tutte le fasi produttive, dal design fino al prodotto finale. L’impianto dovrebbe essere ultimato per il prossimo novembre. L’investimento? Qui si arriva a un miliardo di rubli, poco più di 13 milioni di euro al cambio attuale.
di Milena Bello e Ekaterina Panteleeva