Pare che l’alce sia in via di estinzione. La notizia mi ha colpito nei ricordi dell’adolescenza. Per appurarlo, non sono corsa allo zoo, ma nel negozio milanese di Abercrombie&Fitch. Perché il marchio americano, dell’alce, aveva fatto uno status symbol, stampandolo sulle magliette e sulle felpe che per anni hanno imperversato nelle scuole di tutta Italia e del mondo. Dove mi pareva che tutti, come me, trepidassero per appartenere al mondo sovrastato dalle corna di quel cervide. Ebbene, di recente, il brand ha annunciato il cambio di rotta dalla prossima primavera, a cominciare dagli Stati Uniti, mercato che finora ha inciso maggiormente sul declino – di popolarità e di vendite – del brand un tempo più amato dai teenager.
Davvero non ci potevo credere: non riuscivo a immaginare l’estinzione delle alci e delle scritte a caratteri cubitali sui vestiti. Così, per testare lo stato di salute del brand per cui da ragazzina sono stata disposta a fare una buona ora di coda sul marciapiede della 5th Avenue, a New York – quando ancora esisteva soltanto in America e riuscire a farsi spedire una felpa era un lusso -, ho fatto un giro nello store di corso Matteotti.
Quale madre non ricorda con orrore la richiesta del figlio di entrare nel delirio acustico e olfattivo di uno store A&F? E quale figlio non ha memoria della sensazione di introdursi in un negozio travestito da discoteca? La maturità ha portato con sè un certo disincanto, ma non nego che varcare la soglia di un punto vendita del marchio equivalga a fare il proprio ingresso, chessò, all’Hollywood in versione pomeridiana.
All’entrata mi accolgono due marcantoni che sembrano arrivati direttamente dalla Svezia. “Hey, how are you doing?“, mi dicono. La tentazione di rispondergli in dialetto milanese è forte, ma lascio perdere. Poco più in là, un altro ragazzo, a torso nudo e con tartaruga annessa, è pronto a scattare una polaroid insieme a me. Per dovere di cronaca, non mi sottraggo. A immortalarci è, neanche a dirlo, una ragazza angelicata in shirts inesistenti e ombelico all’aria. Sorrido, sono proprio passati i tempi in cui stringermi a quei muscoli d’acciaio era un divertimento.
Mi addentro nell’oscurità che da sempre caratterizza le stanze di Abercrombie. Il buio è tale che mi tocca avvicinarmi ai vestiti per capire se l’alce sia davvero in estinzione come dicono. Provo a chiedere a un commesso – una sorta di Brad Pitt una ventina di anni fa – dove posso trovare qualche maglietta con una scritta come si deve. Ci metto un po’ a farmi sentire, d’altronde dalle casse esce una musica talmente forte che il fusto fatica a capirmi. Sarà che non sto parlando in inglese? Sorvolo. Dopo un po’ mi indica una zona in cui però non vedo nè alci nè scritte. Comincio ad allarmarmi. Mi viene in soccorso la sorella minore di Bar Rafaeli, che mi mostra un paio di felpe con la scritta Abercrombie. D’un tratto, finalmente, mi sento sollevata.
A onor del vero, noto che il marchio ha effettivamente lasciato il passo ad altre scritte. Intravedo un “Wild nights make the best memories” e un vagamente provocante “I love the mature content out of you”. Forse preferivo l’alce, mi viene da pensare. Accanto a me c’è una ragazzina che combatte con la mamma per comprare una gonna che le piace. Non ha l’alce sovraimpressa, ma è cara come il fuoco, a sentire la madre. Do un’occhiata ai prezzi e mi chiedo come facessi a permettermi abiti fino a 200 euro quando ancora non lavoravo.
Scambio con la signora un’occhiata complice. Esco senza comprare nulla. Addosso mi è rimasta soltanto una quintalata di profumo in più, un vago ricordo degli addominali del tizio all’entrata e un filo di malinconia. Sarà stata l’età, oppure il fischio alle orecchie dovuto a troppa musica, ma l’alce non l’ho sentita bramire come un tempo. La biologia dice che l’estinzione ha luogo quando gli individui che compongono una specie non sono più in grado di sopravvivere alle condizioni di vita che mutano o alla schiacciante competizione. Già, ma occorre capire chi erano gli ‘individui’. L’alce. O noi che per esso facevamo pazzie.