Il Tar entra a gamba tesa sulle procedure di assegnazione delle vetrine in Galleria Vittorio Emanuele. Il Tribunale amministrativo regionale, infatti, ha bocciato la delibera numero 1497 della Giunta Pisapia che, nel 2012, aveva introdotto nuove linee di indirizzo, consentendo, di fatto, il subentro in corso di diverse griffe ai precedenti locatari prima della scadenza del contratto, e, quindi, senza una gara per la ri-assegnazione degli spazi. Palazzo Marino concedeva il subentro chiedendo come compensazione un raddoppio dei canoni d’affitto. Una disciplina che, secondo il Tar, “da un lato svilisce per esigenze di cassa l’interesse della tutela della concorrenza e dall’altro fissa arbitrariamente un corrispettivo di concessione del tutto svincolato da analisi di mercato e dal risultato economico” che l’amministrazione potrebbe conseguire attraverso l’attivazione di una procedura a bando pubblico.
La ‘scorciatoia’ del Comune ha consentito anche ai titolari della concessione di ottenere laute ricompense per uscire di scena. La situazione ha riguardato gli ultimi importanti passaggi di insegna nel salotto del lusso milanese: Versace per accaparrarsi il posto in Galleria con sei anni di anticipo ha assicurato, oltre al plus-affitto, una buonuscita da 15 milioni di euro alla famiglia Bernasconi. Lo stesso ha fatto Prada per accaparrarsi due delle tre vetrine della Ricordi Media Store, accordandosi con Feltrinelli. Non si è tirato indietro neanche Giorgio Armani col Cravattificio Zadi.
A questo punto, le regole di riferimento restano quelle precedenti, che richiedevano una gara pubblica. Perciò, quasi certamente il Comune farà ricorso in Consiglio di Stato. Anche perché non solo i subentri sono nel frattempo effettivi, ma gli accordi con le griffe prevedevano un cospicuo contributo ai lavori di restauro della Galleria in piena fase di attuazione.