Il signore del caffè riceve in un castello, con vista mozzafiato su una città addobbata a festa. Verona, alla vigilia del Vinitaly. Riccardo Illy espone con Mastrojanni, azienda-boutique appartenente al gruppo del food di eccellenza che, oltre al caffè, controlla il brand dei tè di nicchia Dammann Freres, il cioccolato Domori e ha una partecipazione nelle confetture Agrimontana e nella catena di gelaterie Grom. Elegante, pacato, amante delle cose belle e gratificanti della vita, Illy ha curato personalmente i dettagli della serata in cui presenterà le ultime annate dei suoi due cru di Brunello di Montalcino, Vigna Loreto e Vigna Schiena d’Asino. L’invito è assai esclusivo: con me, c’è solo Paolo Massobrio, firma di primo piano per il quotidiano La Stampa. “Quando sono a Verona mi piace osservare il centro storico dall’alto del colle, non è splendido qui?”, esordisce con una domanda in forma retorica. Difficile dargli torto. La scelta del ristorante, nel cuore del castello, denota peraltro ampiezza di vedute anche professionali: a fine cena, in carta compaiono i vini Mastrojanni, ma non il caffè Illy. “I gestori sono legati a un altro fornitore, ma prima o poi li convinceremo a cambiare”.
Abbandonata la politica al termine di un cursus honorum di tutto rispetto (due mandati da sindaco di Trieste, uno da governatore della Regione Friuli-Venezia Giulia e uno da parlamentare), l’imprenditore percorre le orme di Cincinnato, il dittatore romano che lasciò il potere per dedicarsi al proprio podere. Altri tempi, altro contesto. Le uve di Illy maturano tra i colli di Montalcino, dove nel 2008 ha acquisito la proprietà dell’azienda fondata nel 1977 dal conte Mastrojanni. In val d’Orcia ha deciso di investire buona parte del cash flow che, nei prossimi anni, il gruppo otterrà dalla vendita dei coloniali. Si tratta di una scelta non soltanto economica. Il mondo del vino, scommette Illy, garantirà all’Italia lavoro, fama e bellezza.
Perché proprio il vino?
Abbiamo seguito una logica che guarda al futuro, ma trae origine dal passato. Quando nel 1933 mio nonno iniziò a operare nel caffè e nel cioccolato, quest’ultimo poi accantonato fino all’acquisizione di Domori, possedeva un’azienda agricola in Istria, che sarebbe stata nazionalizzata dal governo jugoslavo alla fine della guerra. Da allora abbiamo sempre pensato che, prima o poi, saremmo tornati alla produzione agricola. Lo abbiamo fatto con Mastrojanni, progetto pensato per essere consegnato ai nostri nipoti: vi abbiamo investito in maniera costante, ottenendo nei primi cinque anni il raddoppio della produzione. Oggi siamo a 100 mila bottiglie, per un fatturato di 1,5 milioni di euro l’anno.
Che programmi avete per il futuro?
Stiamo valutando investimenti in altre regioni, mantenendoci nelle zone dove si producono vini “universali” come Brunello di Montalcino e Barolo, meno esposti ai cambiamenti delle mode rispetto ai bianchi e caratterizzati da notevole longevità. Le dimensioni resteranno contenute, da azienda boutique. Per noi il vino costituisce un’operazione strategica, importante e a lunghissimo termine.
Tra i progetti c’è anche la riqualificazione di un borgo a scopo turistico. Di cosa si tratta?
A Castelnuovo dell’Abate, dove ha sede la Mastrojanni, c’è un piccolo borgo che insiste su un’antica torre saracena utilizzata nel medioevo per comunicare mediante gli specchi con le altre postazioni del territorio. La posizione è splendida, in cima alla collina con vista sul castello di Velona, sulla val d’Orcia e fino alla vetta dell’Amiata. Un piccolo paradiso. Lo recupereremo, diventerà la nostra cittadella del vino, pensata per un turismo di qualità e destinata a persone che vogliono soggiornare tra i vigneti, in simbiosi con la natura. Ne otterremo una sorta di albergo diffuso, un ristorante e un centro convegni. Siamo alla fase progettuale, ma pensiamo che tra qualche anno l’opera di recupero sarà ultimata.
Che potenzialità ci sono nel turismo del vino?
Si tratta di una frontiera ancora prevalentemente inesplorata. Inaugurando la visita con degustazione in azienda attraverso l’ampliamento della cantina Mastrojanni, effettuato secondo i principi della bioedilizia, il sindaco di Montalcino mi rivelò che questo servizio lo offriva soltanto il 15% delle realtà locali. Da allora altri produttori si sono aggiunti, con successo. Credo sia necessario potenziare l’aspetto dell’ospitalità, perché gli amanti del vino desiderano conoscerne storia, luoghi, modalità di realizzazione.
Turismo, produzione agricola, sostenibilità. Il futuro dell’Italia riparte da qui?
L’Italia può esprimere, e lo sta già facendo, moltissimo nel manifatturiero di eccellenza, basti pensare alla genialità con cui operiamo nella meccanica, nella moda e nel design. Certamente dovremmo essere il primo Paese al mondo per capacità di attrazione turistica, con tutto quel che offriamo in termini di paesaggio, produzioni agricole, arte e cultura. Invece, siamo scivolati piuttosto in basso. Per ripartire, occorre valorizzare il patrimonio artistico. Cominciamo a imporre il pagamento di un biglietto a chiunque voglia visitare le nostre bellezze. Trovo assurdo che l’ingresso a una meraviglia come il Pantheon a Roma sia gratuito, quando invece in Istria c’è un prezzo da pagare per visitare una delle tante chiesette che danno sul mare. La gratuità non premia. Il pagamento di un biglietto, invece, garantirebbe una parte delle risorse necessarie per effettuare la manutenzione e riportare alla luce i tanti tesori nascosti sottoterra o custoditi nelle soffitte di chiese e musei.