Hedi Slimane cancella Yves, e Saint Laurent mette la freccia. La griffe del gruppo Kering stupisce gli analisti e i buyer: “Mai avuta una clientela di fan come oggi”.
Anche gli analisti più preparati sul mondo del lusso ne sono rimasti colpiti. L’effetto shock della virata di stile e di immagine voluta da Hedi Slimane, salito al timone creativo di Saint Laurent nel 2012, ha rilanciato la storica maison parigina. Nel 2013 Saint Laurent è stata la griffe del polo luxury di Kering in più rapida crescita, con un +17,8% dei ricavi che ha trainato tutta la performance della divisione. Con Gucci in rallentamento e Bottega Veneta in rialzo a una cifra (+7,5%), il brand ha superato le stime del mercato. E ha dunque decretato il successo e l’efficacia della cura Slimane. “La transizione della direzione artistica a Hedi Slimane – ha dichiarato il patron del gruppo François-Henri Pinault – è stata un enorme successo. Il ready-to-wear uomo e donna sono stati particolarmente ben accolti, in aumento del 53%”, mentre calzature e pelletteria, trainati da nuovi modelli come la borsa Sac du Jour e le scarpe Paris, hanno pesato per ben il 66% dei ricavi. Quello che il designer, nato a Parigi nel ‘68 da un bancario tunisino e una sarta italiana, ha operato sulla maison, va però oltre un mero rinnovamento del prodotto. Dalla sua nomina a direttore creativo è stato artefice di un vero e proprio rebranding, tanto efficace quanto controverso.
RIDISEGNATO A TUTTO TONDO
Una delle prime mosse di Slimane è stata l’eliminazione del nome di battesimo del fondatore, ‘Yves’ dal logo della maison, riscritto in ‘Saint Laurent Paris’ con un nuovo carattere Helvetica ispirato all’insegna della boutique di Yves Saint Laurent nella Rive Gauche negli anni Sessanta. Cambiata – tra le critiche, incluse quelle del precedente direttore creativo Stefano Pilati, che aveva guidato Ysl dal 2004 – l’etichetta, Slimane ha rivoluzionato anche lo stile del marchio. Sulle passerelle maschili e femminili ha proposto un grunge inedito per Ysl, ma ben noto a chi conosce il forte legame di Slimane con la musica, in particolare la scena rock e underground. Le sue prime collezioni hanno suscitato una netta spaccatura tra gli addetti ai lavori, per metà inorriditi e per metà innamorati della nuova Saint Laurent by Hedi Slimane. Ma le vendite gli hanno dato ragione. Da colossi del retail Usa, come Barneys New York e Bergdorf Goodman, all’Italia, il brand ha sbancato. “Nelle ultime stagioni – afferma Daniela Kraler, titolare delle boutique multimarca Franz Kraler di Cortina e Dobbiaco – Saint Laurent è il nostro best seller in tutte le categorie di prodotto, la nuova gestione ha avuto subito un effetto positivo. La ‘rock politic’ di Slimane, il suo modo innovativo di usare grafismi, di dare un tocco maschile alla donna e di riproporre canoni dello stile nordamericano nell’uomo, sono piaciuti moltissimo. Il suo è lo stile del futuro”. La donna e l’uomo della nuova Saint Laurent sono rock, skinny e – nell’età o nell’animo – giovani. “Slimane ha cambiato l’immagine del marchio a 360 gradi rendendola più giovane e accattivante, sia nei capi sia nella comunicazione”, afferma Rossella De Fano, a capo delle boutique Cecilia De Fano tra Bari e Trani. “Le vendite sono migliorate notevolmente”. Il designer ha legato l’immagine della griffe a band di culto come i Daft Punk, ma anche a personalità ambigue, come Courtney Love e Marylin Manson, protagonisti di due campagne. “La rassegna stampa che riceviamo su Saint Laurent è impressionante”, commenta ancora la Kraler. “Slimane ha lavorato bene con l’immagine e ha saputo legarsi alle celebrities ‘giuste’”. Nel sito Ysl.com, rinnovato sotto la sua reggenza, accanto alle immagini d’archivio sulla maison ci sono la sezione ‘Music Projects’, con video e immagini di progetti speciali legati a quest’arte, e le due sezioni ‘Skinny’ e ‘Selvage’, quest’ultima dedicata al jeans di lusso targato Saint Laurent. La distanza con il mondo di monsieur Saint Laurent è evidente, eppure lo stesso Pierre Bergé, storico partner di Yves che ha fortemente voluto il ritorno di Slimane nella maison (lo aveva già assunto per la collezione uomo nel ‘96, e Slimane vi era rimasto fino all’arrivo di Tom Ford nel ‘99), lo indica come il suo erede. “Hedi vuole shockare”, ha dichiarato in un’intervista al New York Times. “Quando sei un artista, sei obbligato a shockare”. Il rinnovamento avviato da Slimane ha riguardato anche lo store concept, ridisegnato da lui stesso, applicato gradualmente da Kering alla rete retail del marchio, che include oggi 115 boutique nel mondo.
AIN’T LAURENT WITHOUT YVES?
Le scelte di Slimane non sono sempre state ben accette dal fashion business. Dalla modifica del logo e del nome del brand, alla decisione di installare il suo studio a Los Angeles, dove vive dal 2007 – quando dopo otto anni ha lasciato il timone creativo di Dior Homme per dedicarsi alla fotografia – invece che a Parigi. Dalle discusse campagne con Manson e la Love, allo stile boho-chic che secondo alcuni ricorda più Topshop e Primark che Yves Saint Laurent. Dal rifiuto di parlare con i giornalisti e privilegiare le celebrities sue amiche, come la cantante e modella statunitense Sky Ferreira e la it-girl inglese Pixie Geldof, nel seating delle sfilate rispetto alle firme più autorevoli del settore, all’aver bandito la nota fashion editor del New York Times Cathy Horyn dai suoi show per aver scritto che alcuni aspetti del suo stile ricordavano Raf Simons. Fino all’aver interrotto il rapporto con il prestigioso store parigino Colette, che durava dal ‘98, reo di aver messo in vendita una t-shirt con l’ironica scritta ‘Ain’t Laurent without Yves’. Eppure, per quanto provocatorio e controverso, lo stilista piace quanto il suo lavoro. “Slimane ha un suo pubblico che lo segue e lo ammira”, sostiene Valerio Brighi dei multibrand Nick & Sons di Milano Marittima, Riccione e Ravenna. “Con lui le vendite di Saint Laurent sono aumentate, la clientela è cambiata. Oggi è la più bella che un negozio possa avere, preparata e appassionata di moda”. Non è più Saint Laurent senza Yves? Probabilmente no. Ma forse, per Kering, è anche meglio.
Di Valeria Garavaglia