Potrebbe essersi aperta una nuova età per gli stilisti. L’episodio che segna una discontinuità è la nomina di Christopher Bailey anche a CEO di Burberry, di cui è direttore creativo da sei anni. Bailey è a tutti gli effetti uno stilista, con trascorsi importanti in Donna Karan e Gucci. Eppure, in Burberry, andrà adesso a occupare la poltrona di primo manager del gruppo, che è stata di Angela Ahrendts, spostatasi in Apple.
La mossa di Burberry è coraggiosa. Il gruppo inglese non è una società familiare di un nebbioso distretto di provincia, ma una public company quotata sulla Borsa di Londra, che nel primo semestre dell’anno ha registrato oltre un miliardo di sterline di ricavi. Questa nomina ha colto piuttosto di sorpresa il mercato tanto che, la mattina dell’annuncio, il titolo è arrivato a perdere anche il 6 per cento.
Eppure, il mercato avrebbe dovuto prima di altri metabolizzare la “svolta”. Infatti, sempre di recente, uno studio della banca d’affari Bernstein osservava come “la partenza di Marc Jacobs dalla posizione di direttore creativo di Louis Vuitton (ufficializzata a inizio ottobre, dopo 16 anni di collaborazione, ndr) ha riacceso le riflessioni sull’importanza del designer per un brand, e sui rischi di una sua uscita di scena”.
Certo, la figura del designer ha subìto profonde trasformazioni negli ultimi tempi e sono lontani anni luce i tempi in cui il creativo era visto come il “bizzoso” soggetto che non sapeva niente e niente voleva sapere di mercato. I designer di oggi sono veri e propri creativi, e come tali ottengono una visibilità propria che ha spinto ad associarli alle star del calcio. Ma sono al tempo stesso “gestori” di grandi marchi.
Questa evoluzione è passata per un periodo di transizione in cui ci si è interrogati profondamente sul contrastato equilibrio tra “ragion pratica” dell’azienda e “ragion pura” della creatività. Fase nella quale è emersa la necessità aziendale di considerare lo stilista un asset da gestire secondo direttive e strategie imprenditoriali.
È interessante ripensare all’esperienza di Tom Ford e Domenico De Sole, cui si lega il rilancio di Gucci negli anni Novanta. In quel caso, stilista e manager agivano in perfetta simbiosi, coordinando le capacità dell’amministratore delegato e del direttore creativo (Dom & Tom) in un’unica direzione.
Un decennio più tardi, si può forse dire che quella doppia anima abbia trovato la propria sintesi in una sola figura. Dove si compensino i contrasti e si valorizzino le spinte positive. Gli azionisti di Burberry potrebbero avere sorprese positive dalla scommessa dello stilista-manager Christopher Bailey.
David Pambianco