Lo dice con un po' di timore e quasi sottovoce: «Quest'anno “rischiamo” di andare bene. Non ho ancora visto segnali forti di crisi, soprattutto nella fascia medio bassa. Ma – ammette – la paura rimane e si naviga a vista, si vive alla giornata».
Giuseppe Miroglio, 38 anni, è amministratore delegato del gruppo omonimo che produce tessile e abbigliamento («ma ormai stiamo cambiando pelle per diventare sempre più retailer» precisa) e ha chiuso il 2008 con ricavi ancora superiori al miliardo di euro (erano stati 1,032 miliardi nel 2007) ma con un piccolo segno meno (intorno all'1,5%). Per avere dati più precisi, tuttavia, mancano ancora i risultati della joint venture cinese, che in quattro anni ha raggiunto un fatturato di 70 milioni di euro circa. Anche la percentuale del Mol sul fatturato sarà ancora a due cifre nonostante i costi straordinari legati alla recente chiusura dello stabilimento di tessitura e torcitura di Ginosa, in Puglia. «Una decisione molto sofferta – spiega Giuseppe Miroglio ma ormai non vale più la pena avere la tessitura in casa, meglio comprare fuori il tessuto greggio e concentrarsi sulla nobilitazione (per noi la stampa, nello stabilimento di Govone, presso Alba) che ha un maggior valore aggiunto. Anche la produzione di abbigliamento all'interno del gruppo è ormai ridotta ai minimi termini, meno del 20%: «Più che altro ci serve da scuola, per preparare i tecnici che poi vanno in giro per il mondo a presidiare i nostri fornitori, soprattutto in Cina e Turchia dove abbiamo due joint venture.
Però una parte importante dei nostri fornitori è qui in Italia, perchè qui abbiamo bisogno di tempi rapidi e riassortimenti veloci». Tra la dozzina di marchi del gruppo di Alba (20 milioni di capi all'anno), la locomotiva è Motivi, che nel 2008 ha venduto per 250 milioni di euro, segue Oltre con un fatturato di 100 milioni circa, poi Fiorella Rubino (quasi 50 milioni). Miroglio è anche convinto che una grossa potenzialità, ancora da sviluppare, possa venire dalla cosiddette linee conformate, le taglie forti, il cui marchio di spicco è Elena Mirò, che ancora una volta inaugurerà il 25 febbraio le sfilate di Milano moda donna. A marzo è partita anche la nuova joint venture realizzata in Turchia, sulla falsariga di quella già avviata da tempo con successo in Cina. L'obiettivo è produrre li, solo per il mercato locale, e vendere capi di abbigliamento con il marchio Ipekyol (dal nome della figlia del parner). «Nei primi mesi il mercato non è stato certo facile – ammette Miroglio – ma il nostro è un investimento a lungo termine». Senza rallentamenti prosegue, invece, il piano di nuove aperture di negozi: 150 l'anno scorso e altrettanti quest'anno, quasi tutti gestiti direttamente e quasi tutti all'estero. In Russia, per esempio,dove Miroglio ha rilevato il 49% del proprio distributore (che opera solo a Mosca e San Pietroburgo) oggi ci sono 40 negozi ma l'obiettivo e superare i cento punti vendita. Con un'incognita però: «Lì apriamo soprattutto nei nuovi centri commerciali, che sono quasi tutti di catene inglesi o tedesche. Il timore è che queste nuove aperture ora rallentino e si fermino». Quanto alle risorse, non sono un problema. I fondi non mancano: Miroglio è da sempre un gruppo con un solido patrimonio e una cassa di circa 300 milioni di euro, ciò che consente di non dover dipendere dalle banche (qualche segno però il fallimento chi Lehman Brothers l'ha lasciato anche qui).
Giuseppe Miroglio, quindi, guarda al futuro con «prudente serenità». E intanto aggiusta un po' anche i prezzi, soprattutto nella fascia medio alta, aumentando il ventaglio dell'offerta per questi marchi. «Oggi – dice – il valore percepito è cambiato, ci sono in tutto il mondo prodotti che non reggono più i prezzi che hanno. Ma per riuscire a fare questi aggiustamenti è essenziale stare molto a contatto del mercato».
Estratto da: Il Sole 24 Ore, a cura di Pambianconews