Un altro nome si aggiunge al sempre più lungo elenco di aziende italiane che investono in Nord Africa. è quello del Cotonificio Albini di Bergamo: un giro d'affari di 170 milioni di euro (di cui il 67% esportato) nel 2007, 1.400 dipendenti, otto stabilimenti, 15 milioni di metri di tessuto per camicie all'anno e un portafoglio di clienti che va dalla A di Armani alla Z di Zara.
L'azienda di Albino, nel distretto tessile della Valle Seriana, entro la seconda metà del 2008 sbarcherà a Borg el-Arab, area industriale nei pressi di Alessandria, a est del delta del Nilo, dove si coltiva il cotone migliore che, non a caso, si chiama Giza. «Stiamo costruendo un polo per la preparazione, la tessitura e la tintoria dei filati» precisa Silvio Albini, direttore generale del gruppo. «Questa operazione ci permetterà di avvicinarci alla materia prima, mentre creatività e produzione dovranno rimanere in Italia».
A regime, saranno 300 i nuovi dipendenti, tutti egiziani, mentre l'investimento sarà di 20 milioni di euro. Nei piani dell'azienda, però, non è prevista una delocalizzazione radicale. Non si pensa né alla Cina né all'India. «In Cina ci vado, ma per vendere» incalza Albini. «Cinque anni fa eravamo a zero, oggi una percentuale, seppur piccola, del nostro fatturato viene proprio da lì e ci sono ottime possibilità di consolidarci su quel mercato. Del resto le catene di abbigliamento di fascia molto alta vogliono i prodotti italiani migliori: le lane di Biella, le sete di Como e, naturalmente, i nostri tessuti».
Il mercato di riferimento rimane l'Europa: l'Italia è al primo posto, col 32% del fatturato. E anche i tessuti che rimangono nel nostro Paese, grazie ai grandi camiciai come Bagutta, Barba e Brioni, raggiungono l'estero con il prodotto finito.
Estratto da Economy del 16/11/07 a cura di Pambianconews