La globalizzazione mette a rischio anche i brand piu'solidi e le vecchie strategie delle societa' del lusso italiane, spesso basate sulla forte presenza delle famiglie fondatrici, potrebbero non essere piu' adeguate.
Si evidenziano i limiti di molte aziende del lusso del nostro Paese,che ancora non si sono aperte alla Borsa. La quotazione, oltre a favorire una maggiore disciplina finanziaria, potrebbe portare risorse da investire nell'espansione in Asia, il mercato del futuro per questo settore: “gli investimenti in Asia”, sostiene l'Economist, “saranno il banco di prova della capacita' di un brand di competere o meno sul mercato mondiale”.
Nel complesso le vendite mondiali annue dei beni di lusso sono stimate tra i 100 e i 150 mld euro. “La transazione non sarebbe facile per star come Ferragamo, Versace o Prada“. L'Economist sottolinea pero' come vi sia gia' un esempio a piazza Affari: Bulgari Spa quotata dal 1995. Ora altre societa' del lusso stanno considerando di seguirne l'esempio.
Bulgari, che oggi è “il terzo gruppo di gioielleria di lusso dopo Cartier e Tiffany, si differenzia rispetto alla maggior parte delle aziende italiane del lusso a conduzione familiare”.
Francesco Trapani, alla guida di Bulgari, fece entrare in Borsa Bulgari nel 1995, anche se sapeva che sarebbe stato esposto ad una pressione esterna come responsabile di un'azienda pubblica. “se non raggiungo gli obiettivi, sono fuori,” ha dichiarato.
Oggi, altre aziende italiane del lusso stanno considerando, dopo Bulgari il mercato degli stock. L'industria sta crescendo. I mercati emergenti in Asia stanno diventando sempre più importanti e richiedono più investimento in prodotti, in punti vendita e nel marketing. I brand più famosi stanno sviluppando nuove linee di business, anche nel settore dell'hotellerie e della decorazione di interni.
I gruppi francesi dominano l'industria delle lusso, con il 36% del mercato globale. Alcuni, quale Hermès, hanno quotato le loro azioni alla Borsa di Parigi. Altri sono stati inglobati da Moët Hennessy Louis Vuitton (LVMH), gruppo di lusso quotato pubblicamente e creato da Bernard Arnault, o da PPR, impero del retail di lusso costruito da François Pinault, finanziere francese acerrimo rivale di Arnault. A confronto, la maggior parte delle aziende italiane rimangono private e parrocchiali.
L'industria ora ha recuperato e le aziende stanno facendo programmi ambiziosi per il futuro. La corsa ai mercati internazionali è ricominciata e le vendite dei prodotti di lusso sono cresciute, in media, del 10-20%.
Nel 1991 Ermenegildo Zegna fu la prima azienda di lusso italiana ad accedere al mercato cinese, oggi l'azienda ha circa 52 negozi in tutto il paese.
La Cina, come ha dichiarato Giancarlo di Risio, alla guida di Versace, è un mercato molto interessante perché ha circa 120 milioni di consumatori che possono permettersi prodotti di lusso. Anche Armani, pioniere della diversificazione del brand che ha creato sottomarchi come Emporio Armani e Armani Junior, oggi grazie ad una joint venture con Emaar, sta costruendo una catena di alberghi a Dubai, lo stesso ha fatto Versace in Australia.
Se le principali aziende italiane del lusso sono in grado di investire nei mercati asiatici, circa 80 di queste, come afferma Pambianco Strategie di Impresa, hanno altresì la possibilità di essere quotate in Borsa. Queste includono D&G, Diesel (tra le maggiori aziende del lusso con vendite rispettivamente pari a 1 milardo e 800 milioni) e Armani, così come Ermenegildo Zegna e Prada.
Estratto da The Economist del 16/04/07 a cura di Pambianconews