Il nuovo logo «IT» dell'Italia turistica, che porta il sottotitolo «L'Italia lascia il segno», è una cattiva imitazione, come fa notare il sito dell'Aiap, l'associazione dei grafici italiani, di quello spagnolo di Izquierda Unida e di quello di Logitech. Se guardiamo il logo turistico di Spagna (disegnato da Mirò), Francia e Grecia ci possiamo solo vergognare.
Ma il punto è che il concorso lanciato a dicembre dalla Presidenza del Consiglio, era riservato agli studi con almeno un milione di fatturato, quando è noto che la creatività italiana sta spesso nei piccoli studi. Un vero attentato alle Pmi, col panegirico delle quali tutti si sciacquano la bocca salvo poi comportarsi nel modo opposto. Lo studio vincitore pare sia anche stato favorito da una proroga del bando, concessa quando i suoi concorrenti avevano già presentato i loro elaborati.
Se si vuole invece capire quale può essere l'apporto delle Pmi al buon nome dell'Italia, basta visitare (fino al 25 aprile) la mostra «The New Italian Design» ideata alla Triennale di Milano da Silvana Annicchiarico e curata da Andrea Branzi. La mostra è geniale anche nell'allestimento, perché i prodotti scorrono su un tapis roulant e vanno verso i visitatori, anziché il contrario. I progettisti selezionati sono 121, di età media fra i 30 e i 40 anni. Le aziende sono un mix di piccole, medie e grandi. Ma accanto alle classiche come Alessi, Artemide, Fontana-Arte, Guzzini, Luce Plan, Mandarina Duck, Piaggio, Smeg, Vortice, Whirlpool, ci sono una settantina di aziende di piccola dimensione.
Da un'indagine condotta sui neolaureati del Politecnico di Milano nel triennio 1998-2000 risulta che il 90% ha un lavoro, ma fanno i web designer, i grafici, la comunicazione, la moda, il tessile, il food, il gioiello, la multimedialità, la produzione diretta. Sono, in altre parole, piccole imprese. Come dice Cesare Branzi nel catalogo che accompagna la mostra, accanto all'economia industriale classica, che aveva i suoi maestri del design, si è sviluppata una nuova economia sociale, caratterizzata dal self-brand, dall'imprenditorialità di massa e dal lavoro diffuso. Il design giovanile molto spesso rappresenta un'attività spontanea, inserita in un flusso pulviscolare ininterrotto di merci, prodotti, servizi.
Estratto da CorrierEconomia del 5/03/07 a cura di Pambianconews